“Non tutti hanno fiducia nei leader politici della protesta”. Così il politologo Vadim Karasiov, direttore dell’Istituto di strategia globale di Kiev.
“Mi riferisco ai vari Klitschko e Jatseniuk, – continua il noto politologo ucraino -. Il loro seguito è limitato. I giovani, quelli con sentimenti più radicali, non credono in loro. Gli obiettivi di questi ultimi sono la distruzione del partito delle Regioni e le dimissioni di Janukovich”.
Come si può fermare il bagno di sangue? “E’ necessario capire che bisogna lasciare da parte il linguaggio degli ultimatum, i giochi tattici e gli imbrogli. Serve al più presto un compromesso per salvare il Paese. La gente non crede più a questa classe politica”.
Ma chi controlla i radicali? “La situazione è sfuggita di mano alla politica”.
Cosa vogliono i giovani del Maidan o perlomeno alcuni suoi settori, visto l’eterogeneità delle cosiddette opposizioni? “I giovani pretendono cose impossibili, cose fuori dalla realtà, come il movimento di protesta in Francia del maggio 1968. Qui sul nostro Maidan vi è una sintesi di tutte quelle correnti da Tahrir de Il Cairo ad i vari ‘occupy’. Si sono unite forme di protesta di carattere arabo, europeo con la tradizione ucraina dell’amore per la libertà. Sia per Janukovich che per le opposizioni è difficile controllare questa gente”.
Chi sostiene Janukovich? “La Russia, il clan di Donetsk, numerosi oligarchi, circa il 20% degli elettori ucraini. I dati dei sondaggi sono chiari: il 50% della popolazione sostiene il Maidan (e sono quasi tutti ad Ovest); il 50% no (e sono ad Est). A Kiev non c’è un tiranno come in Tunisia od un Ceausescu come in Romania. L’Ovest del Paese sostiene il Maidan, perché non crede all’Est”.
Ma perché Janukovich non ha fatto sgomberare piazza Indipendenza? “Avrebbe rischiato uno spaventoso spargimento di sangue con migliaia di morti. Il presidente non vuole entrare nella storia come un tiranno sanguinario. Il Maidan poi non è piazza Tienanmen. Siamo sotto agli occhi dell’Europa!”.
Quali errori ha compiuto l’Europa? “Non ha capito la situazione in cui si trovava l’Ucraina alla vigilia della firma del patto di Associazione all’Ue. Per un Paese di 46 milioni di persone e con un’economia così complessa si doveva pensare subito ad un’adesione per difenderla da Mosca. Sostenendo le opposizioni, l’Ue ha trasformato una questione interna in uno scontro geopolitico. E poi manca un centro unico diplomatico. Quale è la linea comune? Si sentono dei cori in cui ognuno canta per proprio conto”.
Come andrà a finire la crisi? “La crisi sarà ancora lunga. In ballo vi è la stessa sopravvivenza dello Stato ucraino. Alla fine potrebbero emergere due Stati, uno ad est e l’altro all’ovest. Speriamo che non si ripeta in tal caso lo scenario jugoslavo, ma sia un divorzio alla cecoslovacca”.
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