Archive for August, 2012


 «Россия, без сомнения, уникальная страна. Какая другая держава могла подарить миру такой шедевр, как Pussy Riot? Большие блестящие глаза, мягкие ресницы и беззащитная улыбка непонимания на скамье подсудимых. На них гневно лают и прокурор, и судья, и православные блогеры; против них весь госаппарат путинского самодержавия, правосудие которого международная общественность сейчас сравнивает с мракобесной инквизицией средних веков. Однако, не надо обижать средние века…
Мадонна в шоке, Горбачев, Стинг и немецкий Бундестаг. Запад солидарен. На улицах Москвы, Праги, Парижа, Дублина собираются девушки в пестрых балаклавах и нелепых платьях московских панк-паночек, чтобы орать: “Free Pussy!”, “Свободу Pussy Riot!”. Бесспорно, они сейчас получают более широкую поддержку на Западе, чем когда-то все советские диссиденты вместе взятые. И – извините, но уж так получилось – они сейчас самая известная музыкальная группа России за рубежом. А раскрутили их патриарх Кирилл, его пиар-советники да Хамовнический Суд.
Российские власти вряд ли смогли бы придумать нечто более эффектное, чтобы показать всему цивилизованному миру: мы не правовое государство, мы империя зла и глупости, мы никогда не будем с вами… »

Статья Штефан Шолль – Московский Комсомолец № 26019 от 20 августа 2012 г., Stefan Scholl Moskovskij Komsomolets.

 Quando sono entrate nella Cattedrale di Cristo il Salvatore le Pussy Riot erano delle perfette sconosciute, oggi sono famose in tutto il mondo.
Formatosi nell’agosto 2011, il gruppo punk-rock femminista ha scelto la strada della provocazione e dello scandalo per imporsi. In pratica, la stessa   strategia pubblicitaria seguita dalle colleghe ucraine protettrici dei diritti delle donne, “Femen”, che si mostrano nude ad ogni occasione pubblica utile. L’uso sapiente di Internet ha poi fatto il resto.
Adesso, dopo sei mesi di reclusione preventiva, le massime star musicali mondiali si sono mobilitate per la loro liberazione, fior di impresari se le contendono tenendo pronti assegni pieni di zero e giovinastre impertinenti imitano il loro canto anti-potere in giro per l’Europa.
Proprio giovedì 16 il marchio “Pussy Riot” è stato ufficialmente registrato. In Russia diventerà uno dei simboli della protesta anti-Cremlino soprattutto a partire dall’autunno che si attende assai caldo, mentre all’estero sarà un “brand” dell’anti-potere, degli anti-globalisti, sostengono gli esperti.
Le tre ragazze hanno insomma vinto alla lotteria ed, appena fuori di galera, potranno godersi una montagna di soldi. Le offerte di lavoro non mancano, nonostante, a giudicare dai video, non sappiano poi cantare e ballare così bene (hanno un repertorio assai limitato) e non siano delle bellezze di prima grandezza.

La più disinibita delle tre, la ventiduenne Nadezhda Tolokonnikova, ha appena ricevuto l’invito a posare senza veli per l’edizione ucraina di “Playboy”. In passato la ragazza, appena diciottenne, era entrata nelle cronache scabrose della capitale russa per aver partecipato in un museo  ad una mega-orgia.
L’evento, denominato “Fotti l’orso”, era stato organizzato da un gruppo art “Vojna”, di cui faceva parte il marito, Piotr Verzilov. L’obiettivo era quello di protestare contro il passaggio di poteri al Cremlino tra Putin e Medvedev (cognome che assomiglia alla parola “orso”).
Nadezhda, studentessa di filosofia, era in cinta di nove mesi e quattro giorni dopo l’orgia aveva dato alla luce la figlia Geru. Le foto, in cui era impegnata in esibizioni erotiche, avevano provocato discussioni a non finire.
Nel 2010 la ventenne ha partecipato ad altre azioni clamorose, come quella di lanciare degli scarafaggi all’interno di un edificio dove ha sede un tribunale di Mosca o di disegnare un enorme fallo su un ponte a San Pietroburgo. Per l’ultima eroica azione Nadezhda ha ricevuto il premio “Innovazione”.
Chi la conosce la descrive come una provocatrice professionista, abilissima nel far cadere gli avversari nei suoi tranelli, una persona che sa esattamente quello che fa. Il Cremlino e la Chiesa ortodossa sono finiti nella sua trappola, trasformando con questo processo-scandalo delle sconosciute in eroine.

 “Vergogna! Vergogna!”. La folla urla indignata all’esterno del Tribunale. “Basta con lo stato di polizia”, uno degli slogan più ripetuti. Il giudice Marina Syrova ha appena letto la prima parte della sentenza in cui si condannano le Pussy Riot per “teppismo motivato da odio religioso”.
Nadezhda Tolokonnikova, Ekaterina Samutsevich e Maria Alekhina non fanno una piega. Anzi, ad un certo punto iniziano a sorridere a destra e a manca. Le tre componenti del gruppo punk-rock non si erano di certo fatte illusioni. Lo sapevano che le attendeva un soggiorno nelle patrie galere.
Rischiavano ben sette anni di carcere. Decisamente troppi! Tanto che il presidente Putin in persona era intervenuto pubblicamente nei giorni scorsi per chiedere clemenza alla corte.
Come si ricorderà il 21 febbraio, in piena campagna elettorale, le Pussy Riot sono entrate nella Cattedrale moscovita di Cristo il Salvatore – tempio principale dell’ortodossia russa – e davanti ad uno degli altari hanno inscenato una canzone-preghiera punk, registrata in video e postata su Internet, con la famosa invocazione “Vergine Maria, liberaci da Vladimir Putin”. Dopo qualche giorno sono state arrestate.
Il giudice Syrova ha spiegato che le tre imputate hanno offeso i sentimenti dei fedeli ortodossi ed hanno mostrato una “completa mancanza di rispetto”. Il loro reato è evidente: “hanno violato gravemente l’ordine pubblico”. Le testimonianze dell’accusa sono state citate e si è sottolineato che l’atto è stato “blasfemo” e non politico, poiché la famosa invocazione alla Madonna sarebbe stata inserita in un secondo momento, durante il montaggio del video, e non pronunciata nella cattedrale.
Ed in effetti le Pussy Riot, come loro stesse hanno ammesso nel corso del dibattimento processuale, ce l’avevano soprattutto con il patriarca Kirill, che aveva pubblicamente sostenuto la candidatura di Putin al Cremlino.
In queste ultime settimane sono comparse divisioni inattese nel mondo religioso. Se alcuni esponenti ufficiali ortodossi chiedevano la condanna delle tre ragazze un folto gruppo di sacerdoti ha sottolineato con dichiarazioni alla stampa che una delle funzioni pastorali è quella del perdono e non della condanna dei peccatori.
La galassia liberal-riformista anti-Cremlino ha, invece, definito il processo contro le Pussy Riot come qualcosa di simile all’“Inquisizione” spagnola per il tipo di accuse rivolte alle tre imputate.
“Come la maggior parte dei processi politici – ha commentato Ljudmila Alekseyeva, presidente del gruppo di Helsinki per i diritti umani -, questo processo non rispetta la legge, il buonsenso, la pietà”. Molto perplesso è apparso anche l’ex leader sovietico Michail Gorbaciov, secondo cui questo dibattimento si sarebbe dovuto svolgere non in un’aula di tribunale bensì in una commissione speciale.
In un messaggio fatto pervenire ai mass media attraverso i suoi avvocati Nadezhda Tolokonnikova ha affermato che “la nostra incarcerazione è il chiaro segnale che la libertà è stata scippata al nostro Paese”.
Con una Russia in preda a forti paure per il futuro e preoccupata per la recente approvazione di una serie di leggi liberticide, ci mancava proprio questo processo-scandalo, ennesimo segnale negativo della crisi psicologica e politica, in cui è sprofondata l’ex superpotenza da un anno a questa parte. Ossia da quando uno stanco Vladimir Putin ha scelto di tornare alla presidenza federale. I sondaggi danno la sua popolarità in caduta libera.

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