Turning points


“Damascus is the “Stalingrad” of Russian diplomacy. After years of geopolitical withdrawal, Moscow has chosen Syria as a way to revive its image of power in the world. “Not one step back” is the Kremlin’s new strategy, as it was for the Red Army along the banks of the Volga river during World War II.
To be more convincing, the Kremlin has simultaneously flexed its muscles by supplying sophisticated weapons to Syria. The undeclared objective is to prevent the West from establishing a no-fly zone or a naval blockade of the regime of Syrian President Bashar Assad, as was done for Moammar Gadhafi’s Libya. The presence of Russian ships patrolling waters near the Russian naval base in the Syrian port of Tartus indicates that the Kremlin is serious… ”
Article  – Giuseppe D’Amato The Moscow Times – June 5th, 2013.

 The world is a little bit safer today after the agreement among former foes on the most complex part of the Cold War legacy. The U.S. Senate passed the New START treaty by a vote of 71 to 26 on Wednesday, while the Russian parliament may give its approval to the pact soon. Moscow becomes a real partner to the West and in the next following months will take part in the building up of the regional anti-missile Shield together with the USA and NATO.

 The New Start treaty, which will replace its lapsed predecessor Start (Strategic Arms Reduction Treaty), was signed by the two Presidents Obama and Medvedev in April 2010. It trims US and Russian nuclear arsenals to 1,550 deployed nuclear warheads – a cut of about 30% from a limit set eight years ago. The treaty would also allow each side visually to inspect the other’s nuclear capability, with the aim of verifying how many warheads each missile carries.

 “Within 45 days after entry into force, we will also then be exchanging our first data for the database under the treaty,” Rose Gottemoeller, US assistant secretary for the Bureau of Arms Control, Verification and Compliance, told. “That’s data on the current status and deployment of our strategic nuclear forces – intercontinental ballistic missiles, submarine-launched ballistic missiles, and bombers,” she said. She also added that the first inspections will take place within 60 days after entry into force of the new START.

 The cuts in the arsenals were the easiest part of the negotiated agreement. Americans and Russians take equally important technological and economic benefits from this decision. Old and outdated weapons, which maintenance costs too, will be dismissed. Financial savings will be used for research and development of new weapons.

 The New START treaty is “a cornerstone of security for the coming decades,” according to President Medvedev. “The treaty brings our relations with the United States to a fundamentally new qualitative level, to the level of equality, parity, and a balance of interests,” Foreign Minister Sergei V. Lavrov told deputies at the Duma, the Russian low chamber of Parliament.

 Japan, the only nation ever to have come under nuclear attack, called the ratification of the START an “important progress” in disarmament efforts by Washington and Moscow. Tadatoshi Akiba, the mayor of Hiroshima, which was destroyed by the world’s first atomic bombing in 1945, said “a world without nuclear weapons” had come “a step closer”, as sought by US President Obama. The USA and Russia send a clear signal on their leadership role against nuclear proliferation.

  The first major positive consequence of the ratification of the treaty is the birth of a common regional shield to protect the West and Russia against short-and medium isolated missile launches, as decided at the Lisbon summit in November. The former “rogue States” will need years to develop modern intercontinental carriers. This is one of the reasons why President Obama decided not to follow Bush’s military policy with the development of the strategic Shield in Europe.

 The second effect is political. The Kremlin is no more isolated as it was from 2006 to 2009. A fully integrated in the West and the most possible democratic Russia is a guarantee of stability for the entire world.

Giuseppe D’Amato

Un viaggio per la democrazia. Così è stata definita dal suo staff la tournée di 5 giorni di Hillary Clinton in Europa centro-orientale ed in Caucaso, nel cosiddetto “cortile di casa” del Cremlino.

Duplice e significativo il messaggio all’intero spazio ex sovietico: continuate sulla strada delle riforme democratiche e non temete dal riavvicinamento tra le due ex superpotenze della Guerra Fredda e dalla loro nuova politica del “reset”, iniziata con l’insediamento alla Casa bianca di Barack Obama. Tutti ne hanno da guadagnare.

In Ucraina il Segretario di Stato Usa ha sottolineato che c’è posto nell’Alleanza Atlantica se Kiev farà richiesta di adesione. La questione era stata sollevata dalla precedente presidenza Jushenko, ma è poco popolare tra la popolazione. Il neo-leader ucraino Janukovich ha scelto una politica di neutralità e di equilibrio tra est ed ovest.

In Polonia la Clinton ha firmato col collega Sikorski un accordo di modifica di precedenti intese siglate dall’Amministrazione Bush per dislocare qui lo Scudo spaziale strategico, che aveva come obiettivi lanci di missili a lungo raggio. Obama ha abbassato il pericolo a lanci isolati di vettori a medio e corto raggio. Stanno così nascendo mini-Scudi regionali. Una base militare di questo sistema sarà proprio in Polonia.

La Clinton ha invitato armeni ed azeri a trovare una via d’uscita all’annosa questione dell’enclave del Nagorno-Karabakh. Una soluzione condivisa, ha spiegato il Segretario di Stato, sarà la base della stabilità e della prosperità dei due Paesi caucasici.

Estremamente complessa è stata la tappa in Georgia, dove il capo della diplomazia statunitense ha incontrato sia le autorità al potere che l’opposizione. Washington ha ripetuto sempre e comunque il suo appoggio incondizionato all’integrità territoriale ed alla sovranità della Georgia. Qui la Clinton ha criticato “l’occupazione” da parte della Russia delle repubbliche secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale ed ha invitato Mosca a rispettare le intese che hanno messo fine alla guerra dell’agosto 2008.

Gli Stati Uniti di Obama hanno cambiato strategia e non appoggiano più, come successe in passato con l’Amministrazione Bush, le cosiddette “rivoluzioni colorate”, che avevano messo a soqquadro l’intero spazio ex sovietico, soprattutto quello fedele al Cremlino. Lo sguardo di Washington si volge adesso ad altri teatri regionali, dove gli Usa stanno giocandosi la leadership mondiale. Avere la Russia al proprio fianco, come nel caso del problema nucleare iraniano, significa avere maggiore possibilità di successo. La Clinton è, però, riuscita a rassicurare i Paesi filo-occidentali dell’area ex sovietica. Il terzo e più importante messaggio per loro è stato: “non vi dimenticheremo”.

La Russia ha centrato il suo obiettivo principale, raffredda, quindi, adesso i suoi rapporti con l’Iran. Il duo Medvedev-Putin ha incassato la recente rinuncia Usa allo dispiegamento dello Scudo spaziale in Europa centrale. Mosca tiene così gli americani e gli occidentali lontani dal suo ex “cortile di casa”, lo spazio ex sovietico.
Gli strateghi del Cremlino hanno vinto una battaglia fondamentale, messa, però, a repentaglio dal recente lancio di un missile a medio-lunga gittata a combustibile solido da parte di Teheran. Il presidente Obama aveva giustificato il cambio di direzione della Casa bianca con il mancato sviluppo da parte di alcuni Paesi avversari di tecnologie che portassero minacce oltre il breve-medio raggio. Intuibile ora la rabbia dei repubblicani a stelle e strisce e dei polacchi. Gli ayatollah sono in grado di colpire non solo Israele ma anche l’Europa meridionale e la Russia, per secoli nemica in Caucaso.
“L’Iran utilizza in modo sempre più attivo l’esperienza del vicolo cieco alla nord-coreana per la conduzione dei negoziati”, ha osservato il quotidiano governativo ‘Rossijskaja gazeta’, riferendosi alla trattativa di Ginevra del gruppo 5+1. Parole sibilline che lasciano intuire scenari nuovi.
Senza l’ausilio tecnologico russo e la sua difesa nelle sedi diplomatiche il programma nucleare degli ayatollah è poca cosa. Ufficialmente Mosca non ha consegnato ancora le batterie anti-missilistiche SS-300, già acquistate nel 2005 da Teheran, unica possibile difesa da raid aerei contro le installazioni atomiche a terra.
La vicenda della nave Arctic sea con un carico misterioso, dispersa nell’Atlantico e rincorsa dalle Flotte militari di vari Paesi, ha fatto suonare l’allarme in tante cancellerie occidentali.
La Russia sta ora mutando atteggiamento per l’imprevedibilità degli ayatollah, ma, di certo, non li scaricherà. Le urla dell’opposizione iraniana contro il Cremlino in giugno sono echeggiate fin dentro alle stanze del potere moscovita. Nessuno vuole cedere una tale pedina all’Occidente.
A parte le questioni geostrategiche che si aprirebbero con anche l’Iraq nelle mani di Washington e la Nato in Afghanistan, Teheran diventerebbe un pericoloso concorrente sul mercato dell’energia. Il Nabucco, la pipeline europea via Turchia ispirata dalla Casa bianca per evitare il transito in territorio russo, troverebbe d’incanto il gas necessario per riempire le tubature.
Ecco, pertanto, che Mosca dovrà iniziare una nuova partita con ben presenti quali equilibri conservare. Non dimenticandosi naturalmente che l’Iran è uno dei cinque Paesi rivieraschi del mar Caspio, la nuova “Klondike” del petrolio dei prossimi anni, crocevia necessario per lo sfruttamento delle ricchezze di idrocarburi dell’Asia centrale. I maghi del Cremlino hanno la scacchiera già pronta, sapendo che a Teheran la Russia si gioca la sua immagine di potenza regionale.

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