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Parties 2007 2011
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Lista Palikot – Palikot’s movement

Non partecipò – Did not stand

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PJN – Poland comes first

Non partecipò – Did not stand

2% 

                                                                            TVP – TVN24 Warsaw 21h.

Affluenza alle urne 2011 – 48,92%
Turnout in 2011 – 48,92%

 Affluenza in 2007 – 53,88%
 Turnout in 2007 – 53,88%

Aleksej Kudrin sbatte la porta e se ne va. Le clamorose dimissioni del ministro delle Finanze sono la prima conseguenza della scelta di Vladimir Putin di tornare al Cremlino dopo le presidenziali di marzo, lasciando la carica di primo ministro all’attuale leader russo, Dmitrij Medvedev.
Sabato notte da Washington, dopo una riunione dell’FMI, Kudrin aveva dichiarato che, per la prima volta dopo un decennio, non avrebbe fatto parte di un Esecutivo federale. E’ risaputo che Medvedev ed il “Tremonti” russo hanno punti di vista diametralmente opposti sulla gestione del budget federale. In primo luogo sulle spese militari. Kudrin, assai apprezzato negli ambienti internazionali, è stato una specie di signor “niet” che ha stretto i cordoni della borsa prevedendo l’attuale crisi, che mette in serio pericolo la crescita economica della Russia.
L’eccessiva dipendenza delle entrate dalla vendita delle materie prime sul mercato mondiale provoca enormi preoccupazioni. L’aumento del deficit, prodotto da spese interne non preventivate e da misure “popolari” nell’anno delle elezioni, dà da pensare. Recentemente Kudrin ha comunicato che se in precedenza il pareggio di bilancio era calcolato con un prezzo medio del petrolio a 90 dollari il barile, nel 2011 è sui 109 e nel 2012 intorno ai 112. Per fortuna sua la Russia ha oltre 550 miliardi di dollari in riserve.
Kudrin, pertanto, stanco delle pressioni delle troppe “lobbies” che ruotano intorno al potere politico moscovita, ha preferito uscire di scena non potendo più contare su una certa indipendenza garantitagli dall’ala protettrice di Putin. Dalla sede dell’FMI, ha avvertito tutti: “il prossimo sarà un decennio perso” per la crisi finanziaria internazionale e i suoi effetti sulle economie mondiali.
Cinquantunenne, pietroburghese, con una lunga esperienza affianco di Anatolij Sobciak (il “mentore” di Putin) il liberale Kudrin ha amministrato i petrodollari, che hanno finanziato il boom economico di inizio secolo, ed ha mantenuto brillantemente in ordine il bilancio dello Stato durante la crisi successiva al 2008. Lascia in Russia un vuoto difficilmente colmabile. Secondo alcuni analisti pesanti possono essere le ripercussioni finanziarie per sue dimissioni.

Confusione, preoccupazione, incredulità. Minsk come Mosca, è una delle domande che si pongono in questo frangente  i bielorussi. All’ora di punta, esattamente alle 17,56 locali, si è registrato uno scoppio alla stazione della metropolitana Oktjabrskaja. I tunnel si sono riempiti immediatamente di fumo ed i passeggeri sono stati fatti uscire in fretta e furia. Si contano morti e feriti. Secondo le prime rilevazioni della polizia si tratta di un’azione terroristica: è stato trovato un cratere profondo mezzo metro. Il bilancio provvisorio dell’attentato si aggrava col passare delle ore.
La centralissima stazione Oktjabrskaja è un punto simbolico di Minsk, poiché permette il passaggio da una linea all’altra del metrò e si trova a poche centinaia di metri dal palazzo dell’Amministrazione presidenziale. Dopo le elezioni contestate del dicembre scorso, con gran parte dei candidati finiti al fresco, la Bielorussia vive adesso un difficile periodo economico con una pesante svalutazione della moneta locale. Da alcune settimane le banche non accettano di cambiare i rubli bielorussi in valuta.
Il presidente Lukashenko, al potere dal 1994, è isolato sul piano internazionale ed è stato definito dall’Amministrazione USA di George Bush come “l’ultimo dittatore” d’Europa. Non pochi analisti tracciano paralleli tra l'”inverno” arabo ed una possibile prossima “primavera” nell’ex Urss. Il presidente russo Medvedev ha offerto l’aiuto dei propri specialisti dell’anti-terrorismo.
Questa è la seconda tragedia nella storia del metrò di Minsk. Nel 1999, per la ressa causata dalla pioggia durante la festa della birra, una cinquantina di persone persero la vita.

VIDEO

Ecco il primo video dell’attentato. First Video after the explosion.

Attenzione. Immagini assai crude.  Images not for people under 18.

V I D E O

 E’ un Paese estremamente frammentato quello che esce dalle legislative di domenica, 10 ottobre. 5 partiti su 29 hanno superato la barriera del 5% per poter aver accesso al Parlamento e si divideranno proporzionalmente i 120 seggi a disposizione, non potendo superare, però, la soglia dei 65 rappresentanti. In testa Ata-Zhurt, popolare soprattutto tra i kirghisi del sud, con circa l’8,7% delle preferenze. Seguono i social-democratici con l’8% e Ar-Namys dell’ex premier Kulov col 7,5%. Quindi Respublica e Ata Meken con grosso modo il 6% dei voti. Due terzi delle preferenze sono andate a formazioni che non sono nemmeno entrate in Parlamento.

 Il tasso di affluenza alle urne è stato assai alto, attestandosi intorno al 57%. Ad Osh, epicentro degli scontri interetnici nel giugno scorso tra kirghizi ed uzbechi, ben il 66% degli aventi diritto è andato a votare.

 Quale coalizione verrà adesso formata per poi scegliere un primo ministro ed un Esecutivo è ancora presto da sapere. Il Paese asiatico ha deciso, in precedenza con un referendum, di darsi un assetto parlamentare dopo che due suoi presidenti, Akaiev e Bakiev, sono stati estromessi dal potere dalla popolazione inferocita nel 2005 e nel 2010.

 Soprattutto la Russia ha espresso dubbi su questo esperimento istituzionale, unico nell’area ex sovietica. L’Occidente guarda incuriosito, ma preoccupato per l’estrema vicinanza all’Afghanistan.

Il Cremlino sperava in una sua uscita volontaria. 18 anni come sindaco di Mosca sono davvero tanti, servono nuovi politici. Ieri Luzhkov, appena rientrato da una breve vacanza in Austria per il suo 74esimo compleanno, aveva annunciato che non ci pensava proprio a dimettersi. L’unica strada rimasta al presidente Medvedev era quella del licenziamento. In due anni e mezzo il Cremlino ha sostituito ben 25 governatori. Luzhkov sarebbe dovuto rimanere in carica ancora un anno, ma la leadership federale ha ufficialmente “perso fiducia” in lui.

E’ dall’inizio della crisi finanziaria che l’astro del sindaco di Mosca si appanna. Cominciano le critiche contro di lui e la moglie, Elena Baturina, la donna più ricca di Russia.  L’ex deputato liberale Boris Nemtsov si accorge dell’incredibile conflitto di interessi e accusa il sindaco di aver favorito in questi anni la consorte con licenze e sgravi fiscali. Alla Duma è durissimo l’attacco del vice speaker Vladimir Zhirinovskij, che parla addirittura di “sistema mafioso moscovita”. Il Cremlino si allinea a questa linea con la crisi estiva del fumo e degli incendi. Luzhkov è in vacanza e rientra in ritardo, secondo i suoi detrattori. Ad inizio settembre le televisioni federali iniziano a mettere in onda programmi in cui si denuncia l’intreccio colossale di interessi, capitali, cantieri ed appalti della coppia. Il premier Putin è rimasto in disparte sulla querelle, ma sa di aver perso un fedele alleato. “Il presidente ha seguito la legge. I rapporti tra loro non andavano, andavano normalizzati in tempo”, ha spiegato gelidamente il primo ministro.

La campagna per le presidenziali è tremendamente vicina e l’ex primo cittadino di Mosca, forte di una potente macchina da guerra, potrebbe essere un inatteso candidato. La moglie ha, però, già messo le mani avanti. In una recente intervista ha dichiarato che ha la sensazione che qualcuno voglia far fare al marito la stessa fine di Michail Khodorkovskij, a lungo maggior oligarca dell’ex superpotenza e da anni in prigione in Siberia dopo aver sfidato apertamente il Cremlino. La Baturina è conscia che potrebbe adesso iniziare una lunga serie di procedimenti giudiziari.

“Non ho intenzione di vivere all’estero”, è stata una delle prime frasi di Luzhkov dopo aver appreso del suo licenziamento ed aver chiesto l’uscita dal partito del potere “Russia Unita“. C’è un precedente poco rassicurante per Medvedev. Negli anni Ottanta Boris Eltsin, primo segretario del partito comunista nella capitale, fu licenziato dagli apparati, ma venne successivamente eletto leader russo dal popolo.

Autoritario, populista, nazionalista l’ex sindaco di Mosca ha soldi, potere, popolarità e mass media allineati per mettere in crisi il tandem al potere in Russia. Nella capitale ha vinto ben tre elezioni consecutivamente con più del 70% dei voti. Ha concesso favori a uomini d’affari e funzionari, garantito stipendi ad insegnanti e lavoratori municipali, conquistato l’ambiente della cultura con fondi copiosi. A causa di questo sistema compiacente Mosca è stata letteralmente violentata in due decenni soprattutto dal punto di vista architettonico. Impressionante è il numero dei monumenti distrutti per lasciare spazio all’ennesimo centro commerciale di turno. Le strade sono perennemente intasate, poiché mal costruite ed amministrate, e la quotidianità presenta ostacoli continui al cittadino comune. La mazzetta al funzionario di turno, anche per le cose più semplici, è la norma.

Dove erano in questi anni i tanti moralisti che adesso plaudono per questo terremoto politico e per la fine della “piovra” moscovita? Oppure la capitale è stata annientata da un qualcosa di più grande di lei? Il grande merito di Luzhkov è comunque di aver garantito alla megalopoli stabilità ed in parte ordine anche durante i tempi bui dei primi anni Novanta; il grande demerito è che questo sistema di racket e tangenti creato, oggi denunciato dalla politica federale,  non ha dato la possibilità ai moscoviti di diventare piccoli imprenditori (aprendo bar, ristoranti o attività di servizi) a tutto vantaggio delle grandi catene di distribuzione e dei gruppi di acquisto, disposti a pagare di più.

Google Translation of this article into English

 L’affluenza alle urne è stata inferiore al 33% degli aventi, soglia minima legale per considerare valida la consultazione. Il boicottaggio dei comunisti e dei loro alleati è risultato decisivo. Da oltre un anno  l’ex repubblica sovietica non riesce ad eleggere il capo dello Stato.  La possibilità di nuove elezioni parlamentari nei prossimi mesi è concreta.

 E’ entrata nella fase finale la costruzione della centrale atomica di Bushehr in Iran. Per una decina di giorni i tecnici russi caricheranno il carburante nucleare, poi entro 6 mesi l’inizio dell’attività. E’ dal 1995 che Mosca aveva accettato di completare un progetto, partito nel lontano 1974 ai tempi dello Scià, da parte della tedesca Siemens.

 Quanto sia realmente pericolosa questa centrale è la prima delle domande che l’opinione pubblica si pone. Le posizioni divergono.

 Assai interessante è il punto di vista di Mark Fitzpatrick, direttore del Programma di non proliferazione e disarmo all’Instituto internazionale per gli studi strategici. “La Russia – osserva lo studioso – ha accettato di riprendersi il combustibile utilizzato (che contiene plutonio) non appena sia abbastanza freddo. Le critiche a Bushehr distraggono dai veri rischi alla proliferazione creati dal programma di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran”.

 Il carburante, presente a Bushehr, sarà molto sotto il 90% di arricchimento necessario per le testate nucleari ed avrà un valore di circa il 3,5%. Teheran ha però un progetto in corso in altri siti per arrivare al 20%, quota che le autorità definiscono necessaria per ricerche in campo medico. Gli ayatollah hanno confermato che il combustibile utilizzato alla centrale in via di ultimazione potrà essere controllato dagli esperti della AIEA in qualsiasi momento.

 La seconda questione aperta è di tipo politico. Quale messaggio sta ricevendo oggi l’Iran? Con le sanzioni in corso decise al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la Russia ha rotto il fronte internazionale. Le dichiarazioni delle autorità di Teheran sono eloquenti: è stata premiata la nostra fermezza; abbiamo vinto; giornata storica. Mosca pare più interessata alla conquista del mercato mondiale dell’energia atomica civile ed al miliardo di dollari da incassare che a seconde ragioni.

 Il Cremlino, tuttavia, non abiura le scelte del dopo Bush e il “reset” nelle relazioni con Washington. I militari russi  hanno reso noto che la consegna dei sistemi difensivi SS-300, già acquistati dall’Iran, rimane congelata.

Komorowski 53.01%, Jaroslaw Kaczynski 46.99% Turnout, 55.31%

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Mr. Kaczynski: “We have to continue changing Poland.. We have to continue to be mobilised, we must win,” “A movement has emerged from their martyrs’ death.”

Former President Aleksander Kwasniewski: tomorrow “Poland will wake up with a 100 percent government {…} with 100 percent expectations.”

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