Archive for October, 2009


A top anti-corruption agent has been unmasked. His life is in danger now. In the past he investigated Jolanta Kwasniewska and her husband Aleksander, the former President, on suspicion of not declaring their full income.

Roger Boyes – The Times – October 23rd

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As OPEC members cut the production Russia became the world’s largest exporter. Profits and share prices of Russian companies like Lukoil and Rosneft are up and the Russian budget deficit is coming down. New tax incentives in Russia encouraged companies to continue drilling.

Andrew Kramer – New York Times, special report  – October 19th, 2009
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Решения по ПРО будут отложены как минимум до будущей весны, когда в Чехии должны пройти парламентские выборы.

Виктор Прусаков – Время новостей – 26.10.2009
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На Украине началась предвыборная президентская кампания 19 октября 2009 года. Международная общественность интересуется ситуацией в бывшей социалистической республике. Один из вопросов – куда идет Крым.

Татьяна Ивженко  – Независимая Газета – 19.10.2009

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Слишком “Единая Россия”

 

Михаил Ростовский – МК

 Статья

Mikhail Rostovsky Moskovskij Komsomolets

Нестрашный Китай – 30.09.09

Михаил Ростовский – МК

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Mikhail Rostovsky Moskovskij Komsomolets

Договор о коллективной безответственности

Михаил Ростовский – MK

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 Lo scoglio Klaus sulla strada della definitiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Manca, infatti, soltanto il suo “sì” dopo l’approvazione da parte degli altri ventisei membri della cosiddetta mini -Costituzione. Il presidente ceco è conosciuto come il capo di Stato Ue più euroscettico del Vecchio Continente. Scalpore aveva fatto il suo incontro in Irlanda nel 2008 con Declan Ganley, capo del movimento “no a Lisbona”.

 Ad inizio ottobre, dopo un tentativo referendario fallito, Dublino ha dato luce verde al Trattato. All’appello mancavano così Varsavia e Praga. L’altro euroscettico, il polacco Lech Kaczynski, irritato per la sospensione americana del progetto che prevedeva il dislocamento dello Scudo spaziale Usa nel suo Paese, non ci ha pensato due volte ed ha firmato il documento già approvato dal Parlamento nazionale.

 L’imprevedibile Klaus si è, pertanto, ritrovato da solo a difendere gli interessi o a combattere le paure della “Nuova Europa”. Gli ex satelliti del Cremlino avevano accettato di aderire all’Unione europea nel maggio 2004 soprattutto per sfuggire alla secolare infelice situazione geostrategica con i russi terribilmente troppo vicini. Il loro timore, reso spesso pubblico, è che non si uscisse da un meccanismo  opprimente per entrarne in un altro. Nessuno voleva sostituire Bruxelles con Mosca dopo la gioia per la libertà ritrovata con il crollo del Muro di Berlino.

 La speranza, quindi, è stata per anni che i tentativi di rafforzare politicamente i Ventisette naufragassero. Va bene area economica – commerciale – democratica e di diritto, ma niente unione politica. Sarebbe calzata a pennello anche una Comunità a due velocità. In questi Paesi lo scontro è stato generazionale e sociale: i giovani col cuore e la mente verso l’Europa, gli anziani col pensiero all’America. 

 Klaus vuole ufficialmente garantirsi contro possibili rivendicazioni dei tedeschi dei Sudeti, espulsi nel 1945, e richiede delle modifiche sul capitolo dei diritti fondamentali. I polacchi provarono a sollevare un’analoga questione l’anno scorso, poi desistirono. Bruxelles seccamente gli ha risposto di non creare “problemi artificiosi”. Senza il Trattato di Lisbona, già di per sé lacunoso, si va verso la paralisi dell’Ue e nessuno è disposto ad accettare una simile situazione.

 I tempi per la firma di Klaus sono stretti. Nelle mani del presidente ceco si gioca il destino della mini-Costituzione continentale, già approvata dal Parlamento nazionale. Il 27 ottobre la Corte costituzionale si riunirà a Praga per sentenziare se il Trattato non contraddica la Legge fondamentale nazionale. Il 29, due giorni dopo, il summit dei leader europei. L’incubo per Bruxelles è che si debba riaprire il processo di ratifica in tutti i Ventisette membri.

Toni morbidi sull’Iran di Hillary Clinton nella sua prima visita ufficiale in Russia da Segretario di Stato Usa. “Non abbiamo chiesto alcunché – ha tenuto a precisare il capo della diplomazia statunitense in conferenza stampa insieme al collega Serghej Lavrov -. Abbiamo analizzato la situazione e l’abbiamo valutata”.

 Mosca è decisamente contraria ad imporre a Teheran ulteriori e più dure sanzioni. “Dobbiamo sforzarci in tutti i modi – le ha risposto il ministro degli Esteri russo – per mantenere aperto il dialogo. Minacce, sanzioni o pressioni più forti sono adesso controproducenti”. La diplomazia deve aver successo ad ogni costo, insomma, e l’Occidente deve essere riassicurato sui veri obiettivi del programma nucleare degli ayatollah.

 A Mosca Hillary Clinton è apparsa più conciliante rispetto alle dichiarazioni dei giorni precedenti. Un certo effetto hanno avuto sicuramente i non pochi complimenti a lei rivolti sia da Lavrov che dal presidente Dmitrij Medvedev.

 Dopo anni di gelo con l’Amministrazione Bush russi ed americani hanno pigiato il cosiddetto bottone del “reset” nelle loro relazioni bilaterali. E’ stata creata una commissione presidenziale composta da 16 gruppi di lavoro. Ampio è lo spettro dei problemi da affrontare insieme.

 Sull’Iran, questo uno degli elogi dei russi fatto alla Clinton, lei è “disposta a collaborare al massimo”. Il gruppo dirigente moscovita ha appoggiato in questi anni il programma atomico di Teheran sia tecnologicamente che diplomaticamente. Grandi sono i vantaggi economici – industriali – militari. Recentemente, però, la fazione pro-israeliana sta radunando maggiori consensi. Avere un vicino, storicamente non amico della Russia, con armi atomiche non è poi così conveniente, viene osservato.

 Il segretario di Stato Usa è stata abile da parte sua a sottolineare che è venuto il momento che Russia e Stati Uniti insieme “mostrino la loro leadership su tematiche come la Corea del Nord, l’Iran e la proliferazione nucleare”. Questa è vera musica per il Cremlino che con Bush si è sentito messo in disparte ed il ruolo della Russia ridimensionato a semplice potenza regionale.

 Quanto possa durare la luna di miele tra Mosca e Washington nessuno lo sa. Obama ha rinunciato per ora al dispiegamento dello Scudo spaziale Usa in Europa centro-orientale, aprendo di fatto la strada all’accordo per il rinnovo dello Start, una delle fondamenta del disarmo mondiale. Il negoziato a porte chiuse, ha riferito Lavrov, sta segnando “progressi sostanziali”. Si spera di rispettare la data del 5 dicembre, quando il vecchio Start perderà valore legale.

 Gli specialisti indipendenti dichiarano sicuri che verosimilmente russi ed americani avranno 1.500 testate nucleari operative a testa. All’inizio del 2009 Mosca poteva contare su 2.700, mentre Washington su 2.200. Il taglio è per entrambi irrinunciabile: troppo elevati sono i costi per la manutenzione considerando anche l’evoluzione tecnologica in atto. Le due ex superpotenze, che detengono il 95% delle armi nucleari al mondo, rischierebbero di dissanguarsi economicamente a favore di un qualche terzo incomodo.

 In futuro, si sono detti sicuri sia la Clinton che i russi, si potrà aprire anche il discorso su un sistema di difesa anti-missilistico comune. Nel 2007 Vladimir Putin aveva clamorosamente proposto a Bush l’uso di un paio di basi radar posizionate in Azerbaigian e nella Russia meridionale. Washington aveva risposto che l’offerta sarebbe stata valutata senza aggiungere altro. Far entrare Mosca nella vera “stanza dei bottoni” sarebbe una rivoluzione senza precedenti.

La Russia ha centrato il suo obiettivo principale, raffredda, quindi, adesso i suoi rapporti con l’Iran. Il duo Medvedev-Putin ha incassato la recente rinuncia Usa allo dispiegamento dello Scudo spaziale in Europa centrale. Mosca tiene così gli americani e gli occidentali lontani dal suo ex “cortile di casa”, lo spazio ex sovietico.
Gli strateghi del Cremlino hanno vinto una battaglia fondamentale, messa, però, a repentaglio dal recente lancio di un missile a medio-lunga gittata a combustibile solido da parte di Teheran. Il presidente Obama aveva giustificato il cambio di direzione della Casa bianca con il mancato sviluppo da parte di alcuni Paesi avversari di tecnologie che portassero minacce oltre il breve-medio raggio. Intuibile ora la rabbia dei repubblicani a stelle e strisce e dei polacchi. Gli ayatollah sono in grado di colpire non solo Israele ma anche l’Europa meridionale e la Russia, per secoli nemica in Caucaso.
“L’Iran utilizza in modo sempre più attivo l’esperienza del vicolo cieco alla nord-coreana per la conduzione dei negoziati”, ha osservato il quotidiano governativo ‘Rossijskaja gazeta’, riferendosi alla trattativa di Ginevra del gruppo 5+1. Parole sibilline che lasciano intuire scenari nuovi.
Senza l’ausilio tecnologico russo e la sua difesa nelle sedi diplomatiche il programma nucleare degli ayatollah è poca cosa. Ufficialmente Mosca non ha consegnato ancora le batterie anti-missilistiche SS-300, già acquistate nel 2005 da Teheran, unica possibile difesa da raid aerei contro le installazioni atomiche a terra.
La vicenda della nave Arctic sea con un carico misterioso, dispersa nell’Atlantico e rincorsa dalle Flotte militari di vari Paesi, ha fatto suonare l’allarme in tante cancellerie occidentali.
La Russia sta ora mutando atteggiamento per l’imprevedibilità degli ayatollah, ma, di certo, non li scaricherà. Le urla dell’opposizione iraniana contro il Cremlino in giugno sono echeggiate fin dentro alle stanze del potere moscovita. Nessuno vuole cedere una tale pedina all’Occidente.
A parte le questioni geostrategiche che si aprirebbero con anche l’Iraq nelle mani di Washington e la Nato in Afghanistan, Teheran diventerebbe un pericoloso concorrente sul mercato dell’energia. Il Nabucco, la pipeline europea via Turchia ispirata dalla Casa bianca per evitare il transito in territorio russo, troverebbe d’incanto il gas necessario per riempire le tubature.
Ecco, pertanto, che Mosca dovrà iniziare una nuova partita con ben presenti quali equilibri conservare. Non dimenticandosi naturalmente che l’Iran è uno dei cinque Paesi rivieraschi del mar Caspio, la nuova “Klondike” del petrolio dei prossimi anni, crocevia necessario per lo sfruttamento delle ricchezze di idrocarburi dell’Asia centrale. I maghi del Cremlino hanno la scacchiera già pronta, sapendo che a Teheran la Russia si gioca la sua immagine di potenza regionale.

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