Russia. Cinema. Tutti contro zar Mikhalkov.

4 May 2010

 La frattura ormai non è più ricomponibile. Un vasto gruppo di operatori della cultura è uscito dall’Unione dei cineasti russi per contrasti insanabili con il suo presidente, Nikita Mikhalkov. La scissione è avvenuta in modo fragoroso, lasciando di sasso milioni di persone.

 E’ stato uno scandalo in cui i panni sporchi sono stati messi in pubblico con comunicati stampa durissimi. Ben 90 tra registi, sceneggiatori e critici hanno sottoscritto un appello, edito su Internet e rilanciato da alcuni quotidiani internazionali, contro il “totalitarismo” con cui l’attore-produttore gestisce l’organizzazione da ben 13 anni.

 I fuoriusciti hanno creato una loro Unione alternativa anti-Mikhalkov. Il loro primo obiettivo principale è quello di difendere i diritti d’autore – e non solo quelli dei registi – nonché garantire il pagamento effettivo a chi detiene i copyright.

 Tanti sono i nomi noti e non protagonisti di questa azione clamorosa: tra gli altri Aleksandr Sokurov, Aleksej Gherman padre e figlio, Otar Ioseliani, Eldar Rjazanov, Julij Gusman, Andrej Smirnov.

 Nell’appello denominato A me non piacesi spiegano le ragioni della scissione. Primo, Mikhalkov è alla costante ricerca di avversari all’interno dell’Unione cineasti, dalla cui presidenza fu spodestato nel dicembre 2008 con il voto degli iscritti ma reintegrato da un tribunale dopo un verdetto contestato; secondo, sono stati espulsi dei “dissidenti”; terzo, nell’organizzazione non vi è un “libero dibattito” in pieno spirito democratico e libertario. “Vengono imposti – si legge nel documento – l’unanimità dei pareri, il patriottismo stereotipato, l’adulazione ed il servilismo”.

 Il vincitore del premio Oscar ’95 è accusato da tempo di essere troppo vicino al potere politico. I critici più agguerriti affermano che il cinema federale sia stato utilizzato come strumento ideologico e propagandistico non solo della nuova Russia post sovietica ma anche per la riscoperta dei valori nazionali. Chi si è adeguato a questa linea ha ricevuto fondi per realizzare le proprie opere, chi non l’ha fatto è rimasto fuori dai giochi.

 Diciassette mesi fa, prima di essere allontanato dalla presidenza dell’Unione cineasti, Mikhalkov aveva letto un famoso discorso contro i tentativi di occupare l’organizzazione in cui il regista denunciava la volontà di un gruppo di persone di “creare una dittatura liberalo-atlantica, imporre ideali e tradizioni stranieri non appartenenti al nostro popolo”.

 Il cinema russo attraversa un momento non facile. Il settore è in crisi per una svariata serie di ragioni: per la mancanza di buoni titoli che attraggono il pubblico; per la difficoltà ad accedere ai finanziamenti in presenza di trafile burocratiche opache; per i dvd pirati. “La metà dei film finanziati dallo Stato nel 2008 – ha ammesso lo stesso Mikhalkov – non sono mai usciti sul grande schermo”.

 Si è in un vicolo cieco e non si sa come uscirne. Difficilmente comprensibile è la recente divisione dei circa 68 milioni di dollari destinati a sostenere gli “studios” che dovrebbero realizzare titoli di successo. Su 400 case produttrici, che ne avevano fatto richiesta, ne sono state scelte soltanto otto, tra cui quella proprio di Mikhalkov. Gli esclusi, alcuni dei quali prestigiosi, hanno espresso giudizi di fuoco.

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