Libia: Medvedev, l’Africano, in cerca di legittimazione.

23 Mar 2011

 Il sogno di Dmitrij Medvedev è di diventare mediatore ufficiale nella crisi libica, ottenendo una definitiva consacrazione a livello internazionale come politico di prima grandezza. Per troppo tempo il giovane capo del Cremlino è stato visto come un “protege” del potentissimo Vladimir Putin. Con la campagna elettorale per le presidenziali del marzo 2012 alle porte l’occasione libica è davvero ghiotta. Medvedev ha ricordato al mondo i buoni rapporti di Mosca con il mondo arabo e non ha escluso che un qualche tentativo diplomatico possa essere presto fatto. Non è un caso che il ministro degli Esteri Serghej Lavrov sia stato per consultazioni al Cairo, dove si è tenuto un incontro tra il segretario dell’Onu Ban Ki Moon ed il responsabile della Lega araba, l’egiziano Moussa. 
 Il capo del Cremlino è intervenuto in prima persona alla televisione soprattutto per scopi di politica interna e per fare chiarezza dopo un imprevisto scambio di battute pepate a distanza con Putin. La Russia, ha spiegato Medvedev, non ha usato il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poiché condivide le ragioni della risoluzione 1973. Le autorità libiche sono responsabili della situazione creatasi, tutto il resto è una sua conseguenza. Il presidente ha, tuttavia, immediatamente rimarcato che l’uso della forza dovrebbe essere “proporzionato” a quello che accade, invece la coalizione occidentale ha causato perdite anche tra gli innocenti. Non siamo all’equidistanza di un arbitro, ma spezzare una lancia per l’isolata Tripoli è ora francamente impossibile. 
 Quante possibilità vi siano che parta realmente una mediazione russa al momento non si capisce, come non si comprende quante possano essere le chance di successo. Il Cremlino ha storicamente ottime relazioni con la Siria, ma oggi appare spiazzata in nord Africa con tutte queste rivoluzioni. Medvedev ha già evidenziato che il problema centrale è trovare gli interlocutori giusti per una qualche trattativa, poiché i “partner” occidentali si sono mossi in ordine sparso, mentre nessuno a livello internazionale ha intenzione di avere rapporti con Gheddafi. 
 Quest’ultimo, però, prima dell’approvazione della risoluzione Onu aveva promesso disperatamente a russi, cinesi ed indiani importanti fette del settore petrolifero al posto delle compagnie dei Paesi oggi nemici. Mosca è legata a Tripoli da imponenti commesse militari, ma solo recentemente, grazie all’aiuto italiano, è entrata nel business petrolifero. 
 Pesanti erano state in precedenza le critiche di Putin alla risoluzione Onu, che in verità permette quasi qualsiasi opzione ed è, secondo il premier, “un invito medievale ad una crociata”. Ma la politica estera è ad appannaggio del presidente e per la prima volta i due amici-colleghi dissentono pubblicamente, segno che le scadenze elettorali si stanno avvicinando inesorabilmente. Medvedev, che teme di veder compromessi i suoi sforzi di modernizzazione del Paese con tecnologia occidentale, ha chiarito ai russi che il ministero degli Esteri ha agito su sue dirette indicazioni. 
 Che la gestione della crisi libica divida la “Mosca che conta” è apparso evidente sabato 19 dal clamoroso licenziamento in tronco del proprio ambasciatore a Tripoli, Vladimir Chanov, voluta dal presidente in persona. Putin, che è stato invitato dal vice-presidente Usa Biden a non ripresentarsi candidato, sta riproponendo ai suoi elettori l’immagine del leader russo, che non si fida dell’Occidente spesso traditore. Medvedev gioca, dal canto suo, una partita rischiosa e finora quasi sempre perdente in Russia. Se dovesse essere marginalizzato dai “partner” rischierebbe la rielezione. 
 Trovate il modo di partecipare militarmente anche voi, ha detto in un discorso all’Ammiragliato di San Pietroburgo il ministro della Difesa Usa Robert Gates. Ma Medvedev gli ha già risposto indirettamente: “niet! Spasibo!”

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