Donbass, Lugansk. Agonia senza fine. Elezioni contestate.

5 Nov 2014

Adesso i capi separatisti filo-russi dell’Ucraina orientale hanno la loro investitura popolare. Potranno giocarsela al tavolo dei negoziati con il governo centrale. Quanto siano state legali o legittime le elezioni nei “distretti speciali” – con uomini in armi ovunque, liste elettorali dubbiose, gente che poteva votare via Internet in modo fumoso – è ben che evidente. DonetskZakharchenko

Ma la deformazione della democrazia e dei suoi processi di scelta della classe dirigente è il triste elemento nuovo di questa crisi, già emerso in marzo in Crimea ed in maggio nelle regioni di Donbass – Lugansk.

Dai “distretti speciali” più della metà della popolazione se n’è andata, sfollata in territori sotto controllo di Kiev o profuga in Russia. Chi è rimasto si sta adattando ad una realtà complessa: senza soldi (non vengono pagati né stipendi né pensioni), con poco lavoro, con servizi quasi nulli. Per tre mesi – con la speranza che l’incubo finisca – questi disgraziati hanno atteso la spallata decisiva dei governativi. Adesso guardano disperatamente ai russi, mentre tremano pensando alla possibile scelta di Kiev di chiudere il rubinetto energetico con il conseguente congelamento di edifici civili e delle poche attività produttive ancora in funzione.

Dall’estate scorsa Donetsk e Lugansk si sono riempite di materiale bellico di origine incerta, di mercenari del Caucaso, di personaggi d’armi strani. Sono loro le prossime vittime predestinate dello scontro tra Est ed Ovest, come già successo in passato Abkhazia e sta accadendo in Crimea.

Una soluzione politica è possibile? Quasi sicuramente no. I separatisti sono pronti a menare le mani, almeno questo lo si desume dalle prime dichiarazioni dei “neopresidenti”. I bollenti spiriti si calmeranno per la stagione fredda per riesplodere al disgelo: questa la previsione dei maggiori specialisti.

La guerra in Donbass e Lugansk serve al Cremlino per guadagnare tempo e rimandare la discussione del vero problema tra le due repubbliche slave: ossia la sovranità della Crimea. Vladimir Putin non può cedere ora su questo punto, altrimenti la sua carriera politica terminerà, soprattutto adesso che la crisi economica – provocata in particolare dal crollo del prezzo del petrolio e molto meno dalle sanzioni occidentali – sta iniziando a mordere. Il rublo è in caduta libera, il tasso d’inflazione alle stelle, il Pil russo è sceso a livelli sovietici.

Vi è il forte rischio che il tramonto della stella di Putin provochi il canto del cigno della Russia nel suo ex cortile di casa. E non si sa quanto questo secondo momento sia positivo per la stabilità continentale.

gda

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