Energy&Economy


People at Visaginas are frustrated. According to plan last reactor at the Soviet-era nuclear plant of Ignalina has been shut down at 11 p.m. local time. The future has become unpredictable for thousands of high qualified specialists. Will the town of 25,000 inhabitants be abandoned by most of them? The youngsters have already left looking for better jobs in the capital – 2 hours ride by train – or in Russia.

Vilnius agreed to close the facility by 2010 in order to win admission to the EU in May 2004. The plant was built in the 1980 and is considered by many to be unsafe since it shares design flaws with the Chernobyl unit that exploded in 1986.

Lithuania – one of the two most nuclear-energy dependent nations along with France – had been hoping that Brussels would allow it to keep Ignalina open for another two to three years, but the European Commission flatly refused. The EU allocated about $1.2 billion to cover part of the plant’s decommissioning costs.

The country risks to become too dependent on Russian gas supplies. Last shutdown reactor had a capacity of 1,320 megawatts, making it one of the largest reactors in the world. It supplied over 70 percent of Lithuania’s electricity needs. Power prices in the country of 3.3 million people were to rise by 30 per cent for households and 20 per cent for businesses, marking a new blow amid one of the world’s deepest economic crises.

Lithuania’s economy shrank by 15.2 per cent in 2009, the Government estimated, and the nuclear shutdown could shave up to 1 percentage point off gross domestic product this year, experts say

The former Soviet republic is seeking European investors to underwrite construction of a new nuclear power plant. Among the companies under consideration are Britain’s Centrica PLC, Germany’s RWE, Electricite de France, Germany’s E.ON AG energy corporation, the Czech Republic’s CEZ, Finland’s Fortum Oyj, Italy’s ENEL, France’s GDF Suez, Sweden’sVattenfall, U.S. company Duke Energy, Japan’s Toshiba, France’s Areva and Spain’s Iberdrola.

 After January 2009 gas dispute between Russia and Ukraine leaving half Europe without supplies was the EU decision to shut down Ignalina the right one and in the right moment?

Александр Лукашенко хочет купить украинскую электроэнергию. В Минске так надеются ослабить зависимость от российской нефти.

Деловая Газета – Виктор ЯДУХА – 05.11.2009

статья

As OPEC members cut the production Russia became the world’s largest exporter. Profits and share prices of Russian companies like Lukoil and Rosneft are up and the Russian budget deficit is coming down. New tax incentives in Russia encouraged companies to continue drilling.

Andrew Kramer – New York Times, special report  – October 19th, 2009
article

zona rossa Cernobyl
Zona rossa

“Un minuto di silenzio davanti all’icona della Santa Immacolata nel centro storico. Così a Minsk l’opposizione bielorussa ha ricordato il 22esimo anniversario dell’incidente di Cernobyl. La vita di milioni di persone è cambiata completamente da quella terribile notte del 26 aprile 1986. Alla centrale, situata a 120 chilometri a nord-est di Kiev sul confine con la Bielorussia e non lontano da quella russa, era in corso un esperimento quando il reattore numero 4 esplose improvvisamente, disperdendo radioattività in mezza Europa. La peggiore catastrofe atomica civile della storia era avvenuta. Furono milioni gli sfollati.
Ancora adesso non si conosce nemmeno il numero preciso di quanti abbiano perso la vita per questa tragedia, che ha mietuto vittime soprattutto tra i 25mila “liquidatori” accorsi da ogni angolo dell’Urss. I dati sono discordanti e si aggiornano di continuo. Per l’Onu solo 4mila persone morirono, ma le organizzazioni non governative contestano le statistiche ufficiali. Qualcuno azzarda la cifra di 900mila morti a seguito delle conseguenze delle radiazioni. In Ucraina 2,3 milioni di cittadini soffrono ufficialmente delle conseguenze del dramma atomico. Ogni anno centinaia di migliaia di bambini, soprattutto bielorussi, vengono portati all’estero per diminuire le probabilità di sviluppare il cancro alla tiroide.
 “Tutti i reattori ad eccezione del quarto sono ormai senza combustibile”, ha affermato in un comunicato la Protezione civile ucraina. La centrale di Cernobyl è stata chiusa solo nel dicembre 2000. I maggiori problemi attuali riguardano il sarcofago che racchiude il reattore esploso con 200 tonnellate di magma radioattivo. Si sta facendo l’impossibile affinché pioggia e neve non entrino all’interno. Presto dovrebbe essere costruito un nuovo contenitore e siti di stoccaggio. L’obiettivo delle autorità è di ripulire completamente l’area entro il 2018. Il segretario dell’Onu Ban Ki-mon ha promesso aiuti per le bonifiche.
 Ieri, vigilia della Pasqua ortodossa, all’interno della zona interdetta che si estende fino a 30 chilometri dalla centrale, sono stati fatti entrare gli sfollati, almeno i più nostalgici. In nottata, a Kiev, il presidente ucraino Jushenko ha partecipato ad una funzione religiosa ed ha posto una corona di fiori al monumento dedicato alle vittime.
Nei giorni scorsi il quotidiano filo-governativo Sovetskaja Belarus’ ha ricordato che, quasi sempre con la approssimarsi della ricorrenza, iniziano a circolare le voci più strane. Quest’anno si è parlato di fantasiose fughe radioattive da impianti vicini, costruiti con la stessa tecnologia di quella di Cernobyl.
 Nella repubblica ex sovietica il presidente Lukashenko spinge per la costruzione di una centrale per limitare la dipendenza energetica dalla Russia. Nei mesi passati Minsk e Mosca hanno a lungo litigato sul prezzo delle materie prime e sul transito verso ovest. “Chi vuole bene al Paese appoggia il progetto”, ha detto Lukashenko, mentre chi è contro “non sono scienziati, ma banditi della politica, gente che appartiene alla seconda ondata di Cernobyl”.
 L’opposizione ha deciso di radunare firme contro qualsiasi centrale. “Questo – ha sottolineato il leader socialdemocratico Nikolaj Statkevich – è per noi un giorno di lutto poiché ricordiamo il passato. Ma è anche una giornata di vergogna, vergogna per il potere che continua a nascondere questa tragedia, potere che il primo maggio 1986 fece scendere in strada la gente per le manifestazioni in onore dei lavoratori”.

26.04.2008

Luglio 2009

 Un tempo le guerre tra Stati si combattevano sui campi di battaglia adesso sui mercati internazionali. E’ sintomatica la vicenda per la costruzione del gasdotto Nabucco. Questa pipeline dalla capacità conclusiva di 31 miliardi di metri cubi di metano l’anno ha l’obiettivo di trasportare il gas del mar Caspio fino al cuore del Vecchio Continente, evitando il territorio russo. L’opera lunga ben 3300 chilometri – duemila dei quali in Turchia – costerà l’astronomica cifra di 8 miliardi di dollari.

 Alla cerimonia per la firma ad Ankara per la costituzione del Nabucco erano presenti tra gli altri il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ed un alto rappresentante statunitense per l’Energia. Sia Bruxelles che Washington spingono per incrementare la concorrenza alla Russia, che attualmente fornisce circa il 30% del fabbisogno annuale all’Unione europea.

 Al Cremlino tutto ciò non fa chiaramente piacere. Mosca ha ribadito, non solo a parole, di essere un partner affidabile ed ha dato il via alla costruzione di due faraonici gasdotti – uno sotto al mar Baltico (insieme ai tedeschi) e l’altro sotto al mar Nero (con l’italiana Eni) per aggirare gli ostacoli ucraino e bielorusso che, negli ultimi tempi, avevano creato problemi alle forniture all’Europa.

 Il dubbio degli specialisti è, però, un altro: dove accidenti sia i russi che gli europei troveranno la materia prima per così tante condotte nuove oltre a quelle già esistenti. Il Cremlino finora ha giocato d’anticipo: ha acquistato gran parte della produzione del Turkmenistan, che si appresta a rifornire anche la Cina ed il Nabucco (10 miliardi). Stesso discorso per l’Azerbaigian (8 agli europei): due settimane fa il presidente Medvedev ha siglato con Bakù un’analoga intesa per cospicui approvvigionamenti.

 In linea teorica i fornitori del Nabucco dovrebbero essere anche Iran, Iraq e Kazakhstan. Teheran sta vendendo all’estero una grossa fetta di produzione al nero per aggirare le sanzioni: la difficile situazione politica interna non depone poi a favore del consorzio europeo; Baghdad sta muovendo i primi passi per rilanciarsi sui mercati internazionali dopo 6 anni di guerra; Astanà ha una politica multivettoriale, ma difficilmente entrerà in rotta di collisione con Mosca.

 L’inizio della costruzione della pipeline europea è posto nel 2010 mentre la conclusione nel 2014. Resta da definire la quantità che la Turchia tratterrà per i vari diritti di transito. Per settimane le discussioni non hanno portato ad alcunché come a lungo non si è capito chi fossero i veri finanziatori del progetto rimasto per anni in naftalina.

 Per gli europei il Nabucco è uno dei modi per cementare l’amicizia con Ankara. Se proprio non si riesce a farla aderire all’Ue che si facciano perlomeno dei buoni affari. Per ora non importa che tutto quel gas non esiste nemmeno nei sogni del più incorreggibile ottimista!

Welcome

We are a group of long experienced European journalists and intellectuals interested in international politics and culture. We would like to exchange our opinion on new Europe and Russia.

Languages


Archives

Rossosch – Medio Don

Italiani in Russia, Ucraina, ex Urss


Our books


                  SCHOLL