Energy&Economy


 Former Energy Minister Traycho Traykov has defined the January 27 referendum on the development of nuclear energy in Bulgaria as a “damaged item in democratic packaging.”
“The question was actually do you agree to buy it and throw it out or buy it and then eat it,” Traykov stated in an interview for Nova TV.
He said that it was highly doubtful whether the referendum had brought profits for anybody. blgnuclear1
Bulgaria’s former Energy Minister suggested that there were several ways to interpret the results of the referendum.
“Of those who voted “no”, some voted against the Belene NPP, others against nuclear energy in general, still others against Belene NPP but for a seventh unit at the Kozloduy NPP, others against Belene NPP and against 7th unit, but for an extension of the lives of units 5 and 6, so there is a huge risk that you voted for one thing, while your answer is interpreted another way,” he explained.
He claimed that the referendum would still have resulted in nothing even if the question had been stated clearly.
“People told politicians that they are mature enough to understand when they are being sold a fake item,” Traykov pointed out.
Bulgaria’s former Energy Minister said that he had abstained from voting at the referendum.
According to preliminary results of the January 27 referendum on the development of nuclear energy in Bulgaria, a total of 60.55% voted in favor of the construction of a new nuclear power plant in the country.
With 97.14% of the votes counted, it emerged that a total of 832 742 people had backed the potential construction of a new nuclear power plant, while 522 927 had voted against.
The referendum was invalidated by low turnout, as merely 21% of the eligible voters cast ballots.
As the turnout is over 20%, and more than half of the votes are positive, the question is to be returned to Parliament for further discussion.
The government says it supports the provision of nuclear power from an existing plant at Kozloduy, but that it does not have the 10bn euros (£6.3bn; $13.4bn) it says would be needed to build a new plant.
Bulgaria had to close four of its old reactors at Kozloduy as a precondition for its 2007 EU membership.
The government froze plans to finish the plant at Belene last year, when work at the site on the southern bank of the River Danube was already well under way.
The Socialists are seen as closely linked to the Belene project, having granted a construction contract for the plant to Russian state company Atomstroyexport in 2008. They say Belene would now cost 4-6bn euros to complete, and would lower electricity costs for consumers.

Source: Sofia News Agency, BBC.

 L’Africa settentrionale rischia di trasformarsi in un nuovo Afghanistan? Oppure siamo di fronte ad un’ondata di colonialismo europeo sotto mentite spoglie, quelle del XXI secolo? Dopo la morte del leader libico Gheddafi l’Africa è diventata più insicura? “La crisi degli ostaggi in Algeria – chiarisce subito Aleksandr Tkachenko, vice direttore del Centro studi sull’Africa settentrionale dell’Accademia russa delle Scienze, – è certamente collegata con la guerra in Mali”. Africatkachenko_new
La situazione sul campo è assai complicata. “Da più di un anno in questa macroregione (Mali, Niger, Algeria e Paesi limitrofi) si osservano iniziative di forze separatiste, chiamiamole così, contro i governi centrali. Le motivazioni di carattere socio-economico, mi riferisco all’estrema indigenza in cui vive la popolazione, fanno da detonatore alla protesta. Non dimentichiamo che l’Africa è un continente povero”.
Da chi sono composte queste forze, come le ha chiamate lei, separatiste? “Vi è stata l’unione tra membri dell’opposizione anti-governativa, esponenti regionali, unità armate e gruppi vicini ad AlQaeda. Questa realtà, creatasi adesso, è una minaccia per tutti i Paesi dell’Africa occidentale”.

 Perché quindi gli eventi algerini sono collegati con quelli del Mali? “Guardiamo alle richieste fatte dagli assalitori dei pozzi petroliferi. Primo, fermare l’intervento francese in Mali. Secondo, liberare alcune persone detenute a Guantanamo. Attenzione. Ricordiamoci la storia di Bin Laden. E cerchiamo di comprendere dove sia la frontiera tra protesta dell’opposizione ed estremismo e quando essa viene superata”.
Siamo pertanto di fronte ad un nuovo Afghanistan? “Non ora. Ma certi elementi lo fanno tornare in mente”.
Quale futuro per questa macroregione? “Le forze anti-governative potranno rafforzarsi nel lungo periodo. E’ un’area geografica difficile. Non sarà facile calmare le acque in fretta”.
Non è che gli occidentali stiano sfruttando la situazione per imporre un qualche nuovo tipo di colonialismo? “La questione è assai complessa e non si può riassumere in una battuta. Diciamo, invece, che nell’ultimo decennio le guerre civili in questa area del mondo sono di molto aumentate. Il rischio di un frazionamento del continente è palese. Pensiamo al Sud Sudan che si è separato dal Sudan. In precedenza è accaduta la stessa cosa tra Eritrea ed Etiopia. Nel Mali del Nord è stato appena proclamato dagli insorti un nuovo Stato. I governi centrali non riescono a risolvere i grandi problemi che attanagliano i loro deboli Paesi. La corruzione poi fa il resto. L’unica soluzione, in molti casi, è la separazione tra le regioni”.
Come è possibile che queste forze anti-governative siano armate fino ai denti? Queste armi provengono dalla Libia? “Tutti sanno che la Libia era un Paese ricco e ne aveva tante”.
Come mai questi gruppi sono così numerosi? “Gheddafi aveva al suo servizio tanti mercenari, originari dell’Africa nera. Adesso questi sono tornati a casa o in Paesi vicini e cercano di farsi una posizione con le armi in mano”.
Queste forze separatiste sono un pericolo per le rotte del petrolio e del gas? “Sì. Possono creare grattacapi in Algeria, tra i primi dieci produttori mondiali di materie prime, e provocare conseguenze negative internazionali”.
La Russia pare allineata su posizioni comuni all’Occidente. “Mosca cerca di fermare i conflitti con la diplomazia. All’Africa serve la stabilità”.

 Ad Anapa sul mar Nero si è tenuta la cerimonia della posa della prima pietra. Negli ultimi mesi la Gazprom ha proceduto a tappe forzate per arrivare all’inizio dei lavori. Uno degli obiettivi della decisione è stato quello di evitare che il Terzo pacchetto energia dell’Ue potesse bloccare o comunque ostacolare il progetto.
La potenzialità della pipeline, che cambierà le strategie per l’approvvigionamento di energia sul corridoio sud europeo, è di 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno (circa il 10% del consumo totale di gas in Europa nel 2020). Il costo finale 16 miliardi di euro. Tempo di costruzione: 3 anni. Il South Stream evita il transito in Ucraina, protagonista di ben due guerre del gas con Mosca.
In un incontro con la stampa Marcel Kramer, amministratore delegato di South Stream Transport – il consorzio tra Gazprom (50%), Eni (25%), Edf (15%) e Wintershall (15%), preposto a realizzare il tratto offshore – ha definito la pipeline un “progetto visionario” per impegno economico e importanza strategica.
Stando alle stime dell’Agenzia internazionale dell’Energia (Iea), la domanda di gas naturale in Europa e’ destinata a salire dai 536 miliardi di metri cubi, del 2010, a 618 miliardi, nel 2035. Un aumento, all’incirca, del 15%.
Posato a una profondità massima di oltre 2.000 metri, il South Stream percorrerà 925 chilometri sotto il livello del mare, collegando Anapa con il porto bulgaro di Varna, attraverso le acque territoriali turche. Il percorso totale (2.600 chilometri), nella sua tratta onshore (1.455 chilometri), comprende anche: Serbia, Ungheria, Slovenia e Italia. Capolinea del South Stream sarà Tarvisio.

CENTRE INTERNATIONAL DE FORMATION EUROPEENNE

 

CLUB DE NICE

Énergie et Géopolitique

Nice, December 3rd, 4th, 5th, 2012

 

Energy in Europe and in the world

 Round tables

–         The energetic systems : crisis or mutation?

–         The Arctic

–         The Eastern Mediterranean area

–         The Shale gas

 «Самые длинные газовые трубы. Самые крупные нефтяные сделки. Самый большой флот атомных ледоколов. Россия (точнее, Роснефтегазпроматомфедерация) — энергический чемпион мира. Во всяком случае что касается количества.
А что же разваливающаяся Европа? …
Пока в России идет стремительная централизация энергетических активов в руках госмонополистов, Запад пытается децентрализовать производство энергии. Десятки, уже даже сотни тысяч мелких производителей вместо нескольких крупных концернов. Это можно назвать и демократизацией экономики, но по сути дела происходит техническая и организационная революция
Россия по сути игнорирует энергетическую революцию остального мира. В России даже по телевизору я не видел того, что вижу всякий раз, когда на самолете приземляюсь в Германии: лес белых ветрогенераторов с огромными винтами. Россия продолжает спать сладким сном нефтегазовой принцессы. Михаила Горбачева здесь не любят, наверное, уже из-за одной-единственной цитаты: «Кто опаздывает, того жизнь накажет».

Статья Штефан Шолль – Московский Комсомолец № 26091 от 13 ноября 2012 г., Stefan Scholl Moskovskij Komsomolets

 Dopo anni il grande “Progetto” sta andando in porto. Il Cremlino affianca alla monopolista del gas Gazprom il nascente gigante del petrolio Rosneft. La Russia si afferma così sempre più come esportatrice di materie prime. Ma non solo. L’obiettivo primario di riuscire a condizionare in qualche modo i prezzi a livello internazionale potrebbe avvicinarsi.
Da un paio di settimane il mondo della finanza e quello dell’energia sono letteralmente in subbuglio per la seconda maggiore fusione di compagnie petrolifere nella storia dopo quella del 1999 tra la Exxon e la Mobil.
Il colosso petrolifero Bp ha appena firmato l’accordo di massima con Rosneft per la vendita del 50% della joint venture TNK-BP. In cambio i britannici otterranno il 19,75% del capitale del neogigante russo e 12,3 miliardi di dollari in contanti. In futuro potranno contare su due posti (su un totale di nove) nel consiglio di amministrazione della Rosneft.
In parole povere la Bp esce da una società mista (la TNK-BP) con dei litigiosi miliardari russi, con cui i rapporti erano stati tesissimi, ed acquisisce quote in una società semi-pubblica – dove il Cremlino farà il bello ed il cattivo tempo -, ma con cui sono previsti importanti progetti per lo sfruttamento delle risorse dell’Artico.
La Rosneft chiaramente compra anche la quota di TNK-BP in mano ai miliardari russi, diventando la maggiore compagnia mondiale quotata per l’estrazione di petrolio (oltre 4 milioni di barili al giorno). L’intera Arabia Saudita ne produce circa 10.
Dopo il crollo dell’Urss nel 1991 il governo federale era riuscito a mantenere solo il controllo del mercato del gas, poiché troppo condizionato dalle poche condotte esistenti verso occidente. Quello del petrolio era finito in mani private o addirittura straniere.
La triste vicenda con al centro l’ex oligarca Michail Khodorkovskij, proprietario della maggiore compagnia privata del Paese – la Yukos -, ha riaperto i giochi. Dopo che il magnate è stato incarcerato in Siberia e la sua società smembrata, la Rosneft ne ha incamerato i bocconi più ghiotti a partire dal 2004.
Il Cremlino, in sintesi, riesce a riportare sotto il proprio controllo un’ampia fetta del mercato del petrolio nazionale. La “mente” dell’operazione è stata Vladimir Putin, ma il braccio operante è sicuramente il potentissimo Igor Sechin, anch’egli con un passato nel Kgb.
Tutti gli attori in causa alla fine paiono guadagnarci qualcosa, ma chissà se i compratori del petrolio russo saranno contenti. E’ difficile che lo siano, considerando gli enormi volumi che la Rosneft sarà in grado di gestire. Soltanto i prezzi alti dell’“oro nero” potranno permettere sia di garantire il bilancio statale russo (oggi il 55-60% delle entrate totali viene dal settore energia) sia di poter far fronte alle spese stratosferiche di estrazione nelle zone più remote del pianeta.
Alcuni analisti, però, buttano acqua sull’entusiasmo. I costi della fusione sono altissimi e negli ultimi anni la Rosneft non ha registrato profitti come la TNK-BP.

 “In her keynote address, opening the World Economic Forum in Davos, Chancellor Angela Merkel urged Europe to become “more European” and work together to resolve its festering problems.
 Merkel said Europe lacked the political structures to make the common currency, the euro, work properly. Despite recent biting criticism that Germany should shoulder more responsibility in the current debt crisis, Merkel stressed that Berlin was resolved to do what was necessary to save European unity.
 Merkel said that the world had not learned from the 2008 financial crisis. Reforms of financial markets have not gone far enough, she said.
 The Chancellor said Berlin was ready to play its full part in combating the eurozone crisis, but could not promise things it cannot deliver.
 In an interview Merkel insisted that nations at the center of the eurozone debt crisis needed to press ahead with economic reform measures. “It does not make sense to promise more money, but not tackle the causes of the problem,” the Chancellor said.
 At the same time, she again called on other European leaders to agree on a tough set of parameters to form the basis of the planned fiscal pact on budget discipline.
“If you have promised debt reduction and solid public finances a hundred times, then it must also be enforced in the future,” Merkel said.
 The Chancellor’s remarks followed calls by Italy and the International Monetary Fund for Germany to offer more funds to boost the so-called European Stability Mechanism (ESM). Merkel has ruled out bolstering the permanent euro rescue fund… ”

Full Article – Nancy Isenson Deutsche Welle

 «Министерская конференция ВТО одобрила присоединение к этой организации России. Процесс, длившийся 18 лет, завершен. Сам по себе факт отрадный, однако, отмечают эксперты, страна вступает в ведущий экономический клуб мира со слаборазвитой сырьевой экономикой, что не сулит особых выгод ее промышленности, хотя и послужит насыщению внутреннего рынка дешевыми импортными товарами на радость потребителям.
По сути, мы уже давно в ВТО: за 18 лет ожидания страна с разной степенью успеха и активности училась играть по общемировым правилам….
Однако то, что Россия может предложить на мировые рынки, мы и без того уже успешно продаем. Прежде всего это нефть и газ, являющиеся основой благополучия нашей экономики. Что касается других отраслей, таких как сельское хозяйство, автомобилестроение, авиастроение, высокие технологии, то там мы как не выдерживали конкуренции, так, скорее всего, и не сможем выдерживать в обозримом будущем, даже получив членский билет элитного экономического клуба планеты.
 Всемирная торговая организация – это прежде всего набор инструментов для доступа на мировые рынки, воспользоваться которыми может успешно страна, обладающая весомыми конкурентными преимуществами в соответствующих секторах. А за те 18 лет, что были потрачены на упорное стояние в очереди, не было сделано практически ничего, чтобы российская экономика могла отвечать современным требованиям. Ее структурная перестройка, декларированная 25 лет назад, так и осталась на бумаге, а перевод страны на инновационные рельсы вновь объявляется целью, а не достижением. В итоге мы вступаем в мировое экономическое поле преимущественно в качестве сырьевой державы, от которой ведущие страны мира уже получили и получают все, что она им может дать…
… с вступлением в ВТО рухнут таможенные и различные административные барьеры, формально препятствующие поставкам на глобальный рынок «шестой по значению» экономики мира, мало что значат для наших производителей с точки зрения наращивания экспорта. Те рынки, где мы могли конкурировать (СНГ, некоторые развивающиеся регионы), уже и без ВТО давно освоены. Выгоды, конечно, будут, но не такие уж большие. По прогнозу экс-министра финансов Алексея Кудрина, в ближайшие 10 лет членство в торговом клубе обеспечит России 4% роста ВВП.
Директор Института анализа предприятий и рынков Андрей Яковлев сообщил «НИ»: «Вступление в ВТО не является принципиально важной новостью для российской экономики. Наибольшие выгоды с точки зрения роста экспорта от этого получат разве что предприятия химической промышленности и металлургии, которым раньше приходилось отбиваться от обвинений в демпинге»  ….
Управляющий, главный экономист Экономической правовой школы ФБК Александр Осин, в свою очередь, предупреждает: «Восстановить нашу промышленность только за счет в ВТО не получится. Нужен комплекс решительных государственных мер по улучшению инвестиционного климата, внедрению новых технологий, но пока в этом особого прогресса не наблюдается». В то же время, как сказал «НИ» эксперт инвестиционной компании Антон Сафонов, членство в организации «станет ощутимым ударом, прежде всего для тех в России, кто привык выживать за счет государственной поддержки». В основном это касается сельского хозяйства, машиностроения, которые не выдерживают конкуренции с иностранными производителями…  ».

Статья – СЕРГЕЙ ПУТИЛОВ, «Новые Известия»

Due sono le cose: o gli europei che vivono nell’area dell’euro sono su un “Titanic” e non se ne accorgono oppure chi è al di fuori della zona della moneta unica è in preda ad un isterismo strisciante. Gli unici aspetti certi sono che il lontanissimo rischio che la situazione finanziaria continentale possa degenerare ha preso forma e i Diciassette dell’euro hanno la necessità di dover assumere con rapidità decisioni strategiche di portata epocale.
Per meglio comprendere cosa stia accadendo, tralasciando analisi di carattere economico e monetario, è opportuno soffermarsi su due momenti fondamentali: quello politico e quello culturale.
Il primo punto da evidenziare è che la costruzione europea, sorta dopo la fine della Guerra Fredda, è entrata immancabilmente in crisi in questi tesissimi mesi. Adesso i Diciassette hanno il difficile compito di edificare, in tutta fretta, l’Europa del Ventunesimo secolo, quella che – tutti noi ci auguriamo – competerà in futuro nel mondo globalizzato con altri giganti regionali.
E’ bene subito segnalare che non bisogna inventare nulla. Si sa bene quali passi compiere e quali soluzioni scegliere. Il problema è un altro: far approvare questo complesso piano di riorganizzazione da tutti i membri e metterlo in pratica in men che non si dica. In buona sostanza, se si vorrà far sopravvivere l’euro gli Stati nazionali saranno costretti a cedere – a vantaggio delle istituzioni comunitarie – ulteriori quote di sovranità, dopo quella monetaria alla Banca centrale europea nel 2002.
Il processo di unione politica, che ha segnato un passo falso con la bocciatura della Costituzione continentale (poi rimediato parzialmente con la successiva “mini -Costituzione”), è destinato a ripartire con veemenza e giocare ora un ruolo centrale. Il dubbio è se i singoli Stati dell’area euro sono pronti a questo sacrificio. Le resistenze saranno assai forti, ma l’Europa sta pericolosamente avvicinandosi ad un precipizio.
Se salta il banco tutti indistintamente ci rimetteranno e non poco. Secondo il presidente della Commissione Barroso ogni singolo Paese perderebbe il 50% del suo Pil. Come riferiscono alcuni specialisti il marco di apprezzerebbe del 40% il giorno stesso della sua riapparizione e la lira segnerebbe un meno 60%. In questo modo gran parte dell’export tedesco perderebbe competitività con spaventose ripercussioni interne. La Germania si ritroverebbe una “Cina” supertecnologica (leggasi Italia) in mezzo al Vecchio Continente, come avvenne tra il 1994 ed il 1995, quando una bottiglia di vino italiano costava nei supermercati tedeschi meno di mezzo litro di birra bavarese.
L’Europa si appresta ad affrontare contemporaneamente anche una rivoluzione culturale. Come si ricorderà la nascita dell’euro ha rappresentato il compromesso perfetto tra la Germania, che rinunciava al marco, ed il resto dei membri Ue, che temevano per la riunione tedesca. Ci volle un decennio per far quadrare il cerchio e partire con la moneta unica, che è stato soprattutto un evento politico. Dal 2002 la Bce, con sede giustamente a Francoforte, ha seguito fedelmente linee guida simili a quelle che avevano ispirato l’azione della Banca centrale tedesca per tutto il dopoguerra. Ossia lotta all’inflazione e moneta forte. Gli incubi iperinflattivi dei tempi della repubblica di Weimar rimangono ben presenti nei tedeschi di oggi. Ma ora quel tipo di scelta assai rigido non sembra più rispondere alle esigenze dei tempi.
Se si vogliono “fare gli europei” i tedeschi dovranno per necessità diventare più flessibili, mentre gli italiani più quadrati (maggiormente rispettosi delle leggi) e i francesi meno arroganti. Altrimenti il rischio è che ognuno vada per conto suo e subisca in futuro la globalizzazione dei colossi asiatici ed americani.

Giuseppe D’Amato

«..Туркмения увеличит ежегодные поставки газа в Китай на 25 млрд. куб. м.  В ближайшем будущем в Китай будет поставляться в общей сложности 65 млрд. куб. м природного газа в год. Ашхабад, с одной стороны, увеличив поставки газа в Поднебесную, снизил свою зависимость от российского рынка, с другой – перешел дорогу «Газпрому» на китайском направлении….
 Президент Гурбангулы Бердымухамедов посетил город Шэньчжень, где принял участие в церемонии официального открытия трубопровода протяженностью 8700 километров и стоимостью 22 млрд. долл., по которому туркменский газ будет поставляться в китайскую провинцию Гуандун. По данным китайской государственной нефтяной компании CNPC, импорт природного газа из Туркмении к середине 2012 года составит 30 млрд. куб. М
 Не останутся в стороне и соседние Казахстан с Узбекистаном, которые также наполняют своим газом трубу в китайском направлении. Для этого к концу нынешнего года будет введен в эксплуатацию газопровод Туркмения–Китай, после чего к нему будут пристроены две дополнительные трубы, по которым туркменский газ с месторождения Багтыярлык на правом берегу Амударьи начнет поступать на китайский рынок. В итоге 10 млрд. куб. м газа ежегодно будет поставлять Узбекистан, 12–15 млрд. куб. м намерен поставлять Казахстан. Дополнительную разработку на туркменском месторождении Южный Иолотань – Осман взяла на себя китайская сторона. Также дополнительные объемы туркменского газа пойдут в Поднебесную с месторождений, которые разрабатывает Россия…
 Туркмения де-факто восполнила потери от экспорта газа на российском направлении. Напомним, крупнейшим клиентом Ашхабада являлся «Газпром», который закупал до 42 млрд. куб. м газа ежегодно, а затем перепродавал его в Европу. Ашхабад неоднократно упрекал российскую компанию в злоупотреблении монопольным положением и пытался самостоятельно выйти на новые рынки. Ситуация изменилась в апреле 2009 года, когда произошел взрыв на участке газопровода Средняя Азия – Центр-4: «Газпром» из-за уменьшения закупок газа европейскими странами вопреки договоренностям с Ашхабадом также снизил объемы закупок туркменского газа, что привело к аварии. В итоге после долгих споров и выяснения причин, кто виновен в произошедшем, «Газпром» лишь через год возобновил закупки туркменского газа, снизив объем до 11 млрд. куб. м. Поиск альтернативных потребителей стал для Ашхабада необходимостью. Проблема была решена довольно быстро – потребности Китая в природном газе только растут…
 Ашхабад не собирается отказываться от других направлений… туркменский газ поставляется в Иран по двум газопроводам в объеме до 25 млрд. куб. м ежегодно, а также разрабатываются проекты в южном направлении – Афганистан, Пакистан, Индия, и в западном – в Европу
 «К 2015 году Китай будет получать из Средней Азии 60–65 миллиардов кубометров газа ежегодно, еще 10 миллиардов кубометров газа из Мьянмы, растет собственная добыча, и до 44 миллиардов кубометров ежегодно составит импорт сжиженного газа из Австралии – все это свидетельствует о том, что к 2015 году Китай не будет нуждаться в российском газе», – сказал аналитик компании RusEnergy Михаил Крутихин. По его словам, заявленные «Газпромом» объемы в 68 млрд. куб. м газа на экспорт в Китай не соответствуют действительности. «Стороны не смогли договориться по цене на поставляемый газ в Китай, а тем временем Туркмения, Узбекистан, Казахстан удовлетворили все потребности Пекина в природном газе. У «Газпрома» в китайском направлении не осталось ниши», – сообщил Крутихин…  ».

Статья – Виктория Панфилова – Независимая Газета – 25.11.2011

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