Energy&Economy


«Газпром» пытается сорвать осуществление миллиардного проекта по строительству газопровода Nabucco, который для крупнейшей в мире газовой компании стал поистине бельмом на глазу. Ведь по этому трубопроводу из региона Каспийского моря конкуренты смогут через Юго-Восточную Европу поставлять газ Западу, что заметно снизит зависимость европейцев от России.

Статья – РБК daily –  13.07.2010

The European Union finance ministers gave the final approval to Tallinn joining the eurozone from January 1st, 2011. The exchange rate for the conversion was set into 15.6466 Kroon per 1 euro.

Estonia will become the 17th euro member. Tallinn met all EU entry requirements on inflation, debt and deficit levels, interest rates and currency stability.

Estonia, along with Baltic neighbours Latvia and Lithuania, was badly hit by the global economic crisis as it saw five years of breakneck growth come to a grinding halt with double digit contraction.

“The key point is that it is a political decision rather than an economic decision (by the EU),” said Danske Bank economist Lars Christensen. “I don’t think it will bring any major boost to growth. Estonia is still slowly coming out of recession.” The adoption of the single EU currency is the culmination of a drive West started after the fall of the former Soviet Union in 1991.

Latvia, which had to take an IMF bailout in 2008, and Lithuania, are expected to enter the euro zone in 2014.

Of the EU’s 27 member states, 16 currently have the euro as their currency. Belgium, Germany, Greece, Spain, France, Ireland, Italy, Luxembourg, the Netherlands, Portugal, Austria and Finland adopted the currency in 2002. Slovenia joined in 2007, followed by Cyprus and Malta in 2008, and Slovakia in 2009.

Ennesimo litigio tra Mosca e Minsk con l’Europa a farne le spese. Chi tra i due contendenti abbia ora ragione non è facile stabilirlo. Gli uni pretendono il pagamento del gas consumato, gli altri quello dei diritti di transito.

 Per ragioni politiche e geostrategiche, per oltre un decennio, il prezzo degli approvvigionamenti energetici russi a Minsk è stato di favore, quasi quello che pagano le regioni della Federazione. Su questo vantaggio non da poco, il presidente Lukashenko è riuscito ad evitare il crollo industriale-economico degli anni Novanta in Bielorussia e a dare stabilità al suo Paese.

 Le cose sono cambiate dopo la “rivoluzione arancione” pro-occidentale in Ucraina nel 2004. Il Cremlino, attraverso la Gazprom, è passato all’incasso, provocando la rabbia di Lukashenko, che l’amministrazione Bush ha definito “l’ultimo dittatore” d’Europa. In sintesi, non più rapporti alla sovietica, quasi completamente basati sul barter, ma contatti pagati con soldi sonanti a prezzi di mercato o quasi.

 La Bielorussia vive un momento particolare: il prossimo anno sono previste le elezioni presidenziali e l’economia ha subito i colpi della recessione internazionale. Lukashenko aveva chiesto di saldare alcuni pagamenti in macchinari, ma il collega Medvedev gli ha risposto pubblicamente in maniera considerata da Minsk sprezzante. “Scusate – ha evidenziato il leader bielorusso -, ma quando iniziano ad umiliarci noi ci offendiamo. Così non si deve permettere di comportarsi un presidente di un Paese amico, un presidente che dirige in pratica lo stesso popolo”.

 Quindi se la Gazprom ha tagliato i rifornimenti del 30% fino all’85% del gas consegnato, Minsk ha colpito il “tallone d’Achille” russo, ossia ha sospeso il passaggio di gas russo verso ovest. Sul suo territorio transita, però, in realtà solo il 20% circa del totale degli approvvigionamenti al Vecchio Continente. E poiché uno dei due gasdotti, Jamal-Europa,  è controllato dai russi la decisione di Minsk riguarda solo il 6,25% dei volumi totali all’Ue. I disagi saranno, perciò, minimi. Lukashenko ha un’arma spuntata, ma può dar fastidio lo stesso oggi. Sa perfettamente che i russi stanno costruendo un gasdotto sotto al Baltico insieme ai tedeschi, il Nord Stream, che verrà terminato nel 2011. La Bielorussia vedrà così la sua rilevanza strategica ridursi.

 L’anno scorso i due Paesi fratelli si affrontarono nella guerra del petrolio con relativo blocco di oleodotti. Il contendere era il privilegio dei bielorussi di rivendere il greggio russo sul mercato internazionale senza pagare dazi a Mosca. Minsk, alla, fine fu costretta a cedere.

 Ma gli screzi e le querelle non finiscono qui. Lukashenko è irritato dalla posizione egemone del Cremlino nella neo-nata Unione doganale (Russia, Bielorussia, Kazakhstan). Non gli è chiaro quali imposte verranno cancellate e a chi. Indirettamente si è reso conto che, dopo 16 anni di presidenza, Mosca lo vuole probabilmente scaricare se troverà un altro leader di sua fiducia. Al duo Medvedev-Putin non è piaciuto la concessione dell’asilo politico all’ex capo di Stato kirghiso Bakiev.

 L’Unione europea si trova, pertanto, coinvolta in uno scontro altrui. Dare forza al suo programma “Partnership orientale” con Minsk sarà in futuro probabilmente l’unico modo per evitare sgradevoli sorprese.

 La questione Fiat piomba nella campagna elettorale per le presidenziali di domenica 20 in Polonia. Jaroslaw Kaczynski, candidato conservatore di Legge e Giustizia, ha invitato il governo Tusk ed il ministro dell’Economia Pawlak ad intervenire presso l’Esecutivo italiano. “Se diventerò capo dello Stato – ha sottolineato davanti ai cancelli della Fiat polacca il fratello-gemello del presidente Lech, morto nell’incidente aereo di Smolensk il 10 aprile scorso, – farò sentire la mia opinione su questi argomenti”.

 Jaroslaw Kaczynski ha ricordato che di solito i leader europei si consultano spesso tra di loro sulle questioni più diverse. Varsavia dovrebbe ora far valere, con forza, la propria posizione come in simili occasioni hanno fatto la cancelliera Merkel o il presidente francese Sarkozy in difesa delle proprie aziende nazionali.

 Come risposta, il ministro Pawlak ha annunciato di aver ottenuto assicurazioni dalla Auto Fiat Poland che non vi saranno perdite di posti di lavoro. Stando al piano strategico della società torinese, lo stabilimento di Tychy, il maggiore del gruppo in Europa, perderà – a vantaggio di Pomigliano d’Arco – la produzione della Panda, che, nel 2009 con 298mila unità, ha rappresentato quasi la metà dei modelli usciti (606mila) da questo impianto gioiello di automazione. A Tychy si dovrebbe passare alla produzione della Lancia Ypsilon, che, però, non ha lo stesso mercato della Panda. Lo stesso vale per la Seicento.

 “I politici italiani saranno adesso contenti”, scrive già polemicamente l’autorevole quotidiano Gazeta Wyborcza. La paura che qualcosa vada storto è ben presente tra i sindacati e i lavoratori, ma si ribadisce un secco “no” ad una guerra tra poveri con i colleghi italiani. In passato sull’asse Germania – Belgio si è combattuto lo scontro per l’Opel e su quello franco-romeno lotte sindacali alla Renault-Dacia.

 Se si andrà, come pare, al ballottaggio tra Komorowski e Kaczynski, il 4 luglio, il risultato del voto di Pomigliano d’Arco e le scelte della Fiat saranno argomento terreno di battaglia in Polonia.

 Sorprese a non finire nelle elezioni legislative in Repubblica ceca. I partiti di centro-destra hanno vinto la consultazione. I social-democratici (CSSD) sono sempre la prima compagine del Paese, ma non sono andati oltre il 22% di preferenze. Gli specialisti in sede di sondaggio assegnavano loro il 30%. Jiri Paroubek ha così lasciato la segreteria del Partito.

 I democratici civici (ODS) hanno riportato il 20,2% dei voti, i conservatori di TOP09 (dell’ex ministro degli Esteri Karel Schwarzenberg) il 16,7, i centristi di Affari pubblici (VV) il 10,9%. Ci vorranno settimane di incontri per formare il nuovo Esecutivo, prevedono gli esperti, e solo un accordo di coalizione potrà portare stabilità. Le tre compagini insieme detengono 118 seggi. Il Toto-premier, nel frattempo, è già iniziato. Sarà il presidente Klaus l’ago della bilancia.

 I temi più dibattuti della nervosa campagna elettorale sono stati il problema del taglio del debito statale e la riforma delle pensioni. La stampa praghese ha definito queste consultazioni come le più combattute ed appassionanti elezioni di sempre. 25 partiti con 5mila candidati hanno lottato per i 200 seggi della Camera bassa del Parlamento. L’affluenza alle urne è stata del 62,1%

 In queste elezioni ha vinto il messaggio “facciamo il possibile per evitare uno scenario in Grecia”. I partiti di centro-destra vogliono tagliare le spese e  lottare in modo più efficace contro la corruzione. Nel 2009 il Pil è sceso del 4,1%, mentre nel primo quadrimestre del 2010 è salito dell’1,1%.

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 La riduzione del debito è l’obiettivo comune a tutta l’Europa centrale. In un report, edito all’inizio del maggio, la Commissione europea segnala il caso dell’Ungheria, già aiutata con 20 miliardi di euro: Budapest, si afferma, deve ridurre le spese per evitare amare ed inattese sorprese.

 Le economie romena (dove gli statali hanno subito pesanti decurtazioni di stipendi) e bulgara appaiono ferme. La prima aumenterà dello 0,8% dopo un terrificante -7,1% nel 2009 (con un deficit di bilancio pari all’8% del Pil), la seconda rimarrà intorno allo zero. I fondi europei, che avrebbero potuto permettere di disporre di capitali per la crescita, sono praticamente bloccati per problemi legati alla corruzione in questi due Paesi.

 I dati provenienti dalla Lettonia e dalla Lituania sono anch’essi poco rassicuranti. Le “tigri” del Baltico si sono letteralmente piantate. La grande incertezza sul futuro, le condizioni finanziarie sfavorevoli e la stretta fiscale sono indicate come le cause di questa realtà davvero nera. Il Pil lettone segnerà nel 2009 -3,5%, mentre quello lituano -0,6%. La frenata nel 2009 è stata, però, molto più brusca.

Nečas talks election – Prague Post –

 

 

 La crisi dell’euro ha evidenziato ancora una volta la debolezza dell’economia russa, che dipende troppo dalle oscillazioni del prezzo del petrolio. Cambiare la sua struttura è un’opera titanica ed epocale. Il duo Medvedev – Putin ci sta provando con varie iniziative di diversificazione.

 Il 40% circa delle entrate dello Stato russo provengono dal settore energetico, da sempre croce e delizia dell’ex superpotenza. La copiosa pioggia di valuta, messa da parte durante il boom energetico degli anni passati, si è ridotta sensibilmente. Uno dei due Fondi di stabilizzazione – dove erano state accumulate svariate centinaia di miliardi di dollari, ha dichiarato il ministro delle Finanze Aleksej Kudrin, si è già estinto. Dopo un decennio Mosca è così tornata in aprile ad offrire con successo obbligazioni (4 miliardi di eurobond) sul mercato internazionale.

 Kudrin si batte per la riduzione delle spese statali che, entro il 2015, dovranno scendere del 20%. Il bilancio del 2010, ha spiegato il ministro, sarà equilibrato se il prezzo del petrolio sarà in media di 95 dollari il barile, “tenendo presente che stiamo anche spendendo capitali dal Fondo di riserva”.

 La sua collega dell’Economia Elvira Nabiullina prevede 76 dollari al barile per tutto il 2011, una cifra azzardata e troppo ottimistica per Kudrin che ha ricordato come nel 2009 il bilancio statale era calibrato sui 95 dollari mentre il prezzo reale fu di soli 61 dollari. In questa aspra discussione è addirittura intervenuto il presidente Medvedev che si è augurato 70 dollari al barile, in maniera tale che la Russia non “perderà gli stimuli” per cambiare la sua economia.

 Il Cremlino ed il governo tentano di dare impulsi ad altri settori. Nel mirino vi sono ora le alte tecnologie con l’obiettivo di costruire una specie di “Silicon Valley” alle porte di Mosca. Ingenti investimenti in tal senso sono già stati fatti. Sono state anche attuate modifiche legislative per invitare giovani scienziati stranieri in Russia e riportare i propri a casa dopo la fuga successiva al crollo dell’Urss.

 Per la prima volta dal 2008 l’economia ha dato, comunque, segnali di espansione nei primi tre mesi del 2010. Il Pil è cresciuto di circa il 2,9% rispetto allo stesso periodo del 2009, quando la ricchezza russa arretrò di ben il 7,9%, la maggiore discesa dal 1991.

 Il premier Putin ha dichiarato di non essersi pentito dell’enorme quantità di denaro spesa per battere la recessione e “per conservare la stabilità socio-economica”. Secondo alcuni calcoli Mosca avrebbe iniettato nella propria economia 99,6 miliardi di dollari in “misure stimolo”. L’impennata del prezzo delle materie prime ha aiutato decisamente la Russia ad uscire dalle secche. Un dollaro in più di quotazione dell’“oro nero” significa 2 miliardi in più nelle casse del Cremlino.

 Il governo ha ora come obiettivo l’abbassamento dell’inflazione sotto al 10% ed arrivare alla riduzione del deficit al 3% del Pil entro il 2012 (oggi 5,2-5,4%). Ma se il prezzo del petrolio sarà mediamente di 50 dollari allora il rischio è di trovarsi a ben l’8%.

 Le grandi compagnie russe hanno riguadagnato terreno dopo le enormi difficoltà incontrate a cavallo tra il 2008 ed il 2009 anche grazie a prestiti ad un basso tasso di interesse. La Banca centrale ha tagliato il costo del denaro 13 volte consecutivamente. L’AvtoVAZ, la Severstal e la Mechel, ad esempio, hanno potuto aumentare la produzione. La spedizione di containers e la produzione industriale sono cresciute notevolmente segno che l’economia è veramente ripartita.

 La crisi dell’euro e la conseguente brusca discesa del prezzo del petrolio sono giunte inaspettate per Mosca, che ha immediatamente adottato misure per limitare il movimento di capitali a breve termine. Il Cremlino sa perfettamente che se il valore del greggio scenderà il rublo rischierà di trovarsi sotto attacco della speculazione internazionale.

 Nel mare increspato continentale è la sorprendente Polonia ad apparire come un’isola di stabilità. La sua economia ha affrontato la crisi nettamente meglio di quanto hanno fatto quelle della cosiddetta “nuova Europa”.

 Se si segue il flusso di capitali dall’estero in entrata si capisce il perché. Solo nel primo trimestre 2010 il numero di investimenti diretti stranieri è stato di 132 con un aumento sull’analogo periodo del 2009 del 70%. Varsavia è anche la principale beneficiaria dei fondi Ue (tra cui fondi di coesione, fondi per l’agricoltura e fondi per la pesca). Tra il 2007 ed il 2013 ha ricevuto o otterrà ben 81,2 miliardi di euro, una somma pari all’incirca al 3,3% del Pil annuale.

 Le ragioni di un tale imponente sforzo continentale hanno anche ragioni storiche e geopolitiche non solo economiche. Alla fine della Seconda guerra mondiale il Paese slavo fu abbandonato al suo destino dagli occidentali. Si è voluto ora, in qualche modo, saldare un debito morale e premiare i meriti conquistati nella caduta della Cortina di ferro. Una Polonia forte e ricca è una garanzia per l’area centro-orientale e la completa saturazione di antiche ferite coi vicini.

 A parte queste considerazioni, fare business a Varsavia è conveniente. Le classifiche specifiche e i dati sono chiari: il tasso di corruzione è basso, quello del rischio è più che rassicurante, quello della libertà economica nella media. Le esenzioni fiscali, definite di concerto con Bruxelles, richiamano dall’estero investitori, che, però, devono impegnarsi per assumere personale locale e mantenere i posti di lavoro per almeno 5 anni. Automative, biotecnologie, agricoltura ed infrastrutture sono alcuni dei comparti più in crescita.

 Varsavia ha oggi, quindi, l’occasione di ammodernare definitivamente il Paese, uscito prostrato dal periodo comunista, e sta sfruttando al meglio l’occasione. I campionati europei di calcio del 2012 metteranno in vetrina i risultati di questo intenso lavoro e potrebbero essere un ulteriore volano per l’economia nazionale se il comparto turistico inizierà a tirare come molti operatori sperano. Gli aeroporti ed i complessi alberghieri sono stati rimessi in ordine o costruiti, mentre il tallone d’Achille restano le strade.

 I fondamentali polacchi sono soddisfacenti. Se nel 2007 il Pil è cresciuto del 6,8% per poi crollare nel 2009 a +1,7, nel 2010 l’aumento è previsto nell’ordine del 2,5-2,8%. Durante la crisi finanziaria del 2008 lo zloty è stato svalutato – salvo poi recuperare posizioni -, mentre le banche nazionali avevano pochi asset tossici.

 L’ultima preoccupazione in ordine di tempo è il troppo rapido deprezzamento dell’euro a cui Varsavia ha collegato lo zloty. Aderire alla moneta unica era ormai un obiettivo prossimo tacitamente fissato per il 2012-2013, ossia al termine dell’operazione di rilancio del Paese pianificata nel 2000-2004. L’opinione pubblica ha finora assistito a polemici scontri tra specialisti e politici, con i conservatori fortemente contrari alla cessione di parte della sovranità nazionale a Francoforte. Ma aderire alla valuta continentale significa entrare con tutti e due i piedi nell’Europa del XXI secolo.

 Avere i conti in ordine ed un’economia moderna pronta a competere nel mondo globalizzato sono requisiti essenziali, anche per contare nell’Unione europea. L’importante è essere pronti alla realtà post-2013, quando la pioggia di fondi Ue terminerà. Se nel frattempo si è costruito bene non ci saranno timori per il futuro, altrimenti torneranno i vecchi mal di pancia passati.

Giuseppe D’Amato

 

 The Central and Eastern Europe continues to believe in the euro, despite the many problems in recent months, particularly for the crisis in Greece. Joining the single currency remains a goal of many countries in the area, but  the eurozone must set its own house in order first. According to a study by the Financial Times, these are the reasons.

The EU does not forget Ukraine. In the same time as Russian President Medvedev was on an official visit to Kiev the European Parliament has approved a EUR 500 million loan to Ukraine to help it overcome the financial crisis.

 The European Parliament speaker Jerzy Buzek welcomed the decision of the European Parliament to support Ukraine through a loan facility and declare Ukraine a close strategic partner of the European Union.
 “The assistance is provided at a time when the EU is helping to mobilize financing to support the reform of the Ukrainian energy sector, including developing a sustainable solution to Ukraine’s medium-term gas transit and gas payment obligations,” Buzek said.
 “Nevertheless, EU macro-financial assistance can only contribute to economic stabilization if the main political forces in Ukraine ensure political stability and establish broad consensus on the rigorous implementation of the necessary structural reforms,” he added.

 At the end of April the European Commission gave to Kiev a list of 18 reforms, implementation of which will provide an opportunity to attract additional financial assistance to Ukraine from the EU. The document contains specific activities and possible EU assistance in response to their implementation. The list includes political reforms to ensure macro-financial stability, business climate, energy sector reform, civil aviation and the environment.

 Ukrainian President Yanukovich is also hoping to secure a new $19bn credit programme from the International Monetary Fund (IMF) for its struggling economy after ramming through Rada a 2010 budget with a relatively tight deficit target of 5.3 per cent of GDP.

Russia, as a participant in the G20 and the G8, is ready, as a partner, to advance all issues relating to Ukraine, including International Monetary Fund and World Bank support,” president Medvedev said during his visit.

 Russia has stepped pressure on Kiev. The Kremlin is ready to fund a complete overhaul of Ukraine’s gas network if it agreed to the merger between Ukraine’s energy holding Naftogas and Russia’s state gas giant Gazprom. “If the two companies merge, Gazprom can rely on its financial resources to fully modernise Ukraine’s gas transportation system,” said Alexei Miller, the head of Gazprom.

Yanukovich has suggested the European Union should be involved in any talk of a merger. The Ukrainian leader is for the creation of a consortium involving the EU as well as Russia to modernise the ageing pipelines. Energy minister Yuri Boiko said that gas transportation system needs $ 600 million in 2010. The complete modernisation will cost about $ 3bn.

Statement – EU Parliament May 18th, 2010.

 

La carta energetica continua ad essere quella più usata dalla Russia per mantenere il suo status di potenza globale. I due progetti South Stream e Nord Stream rimangono i cavalli di battaglia per le materie prime tradizionali, mentre il nuovo piano nucleare per l’export sta prendendo forma con inatteso dinamismo.

 Dal vertice di villa Gernetto si è avuta la riconferma della solidità della partnership russo-italiana in campo energetico. Mosca ha scelto da anni l’Eni come interlocutore privilegiato per il South Stream ed ha affidato con una commessa da oltre 2 miliardi di euro alla Saipem la costruzione un segmento complesso del Nord stream, a conduzione tedesca. La passata esperienza positiva con il Blue Stream – oleodotto sottomarino fino alla Turchia, con un tratto di 385 chilometri sottomarini, consegnato nel 2005 – ha favorito la decisione russa.

 Berlusconi e Putin hanno voluto cancellare le troppe voci che sono circolate recentemente su incomprensioni tra l’Eni e la Gazprom per il South Stream. Alla base di tutto l’entrata ufficiale dal giugno 2010 nel consorzio dei francesi di EDF – a cui andrà il 20% dell’azionariato – e i costi astronomici per la realizzazione dell’opera.

 Vladimir Putin ha offerto energia nucleare russa ad uso civile all’Italia. La proposta è quasi la stessa fatta ad altri partner in giro per il mondo negli ultimi 3 anni. Ossia vi costruiamo la centrale e ci riportiamo via le scorie, tanto da far contenti gli ecologisti locali.

 La Russia ha approvato un mega-piano sia per il mercato interno che per l’estero. Intende raddoppiare la produzione di energia nucleare entro il 2030, fino al 25% del fabbisogno interno. I reattori di nuova generazione, affermano gli specialisti, sono notevolmente più efficienti, grazie all’evoluzione iniziata a metà anni Novanta. E poi l’uranio, la Russia ce l’ha in casa.

 Come partner tecnologico è stata scelta nel 2009 la tedesca Siemens. Adesso Putin intende spalancare all’Enel le porte per la costruzione della strategica centrale di Kaliningrad. L’Unione europea ha costretto la Lituania a chiudere la centrale di Ignalina, troppo simile a quella di Cernobyl, lasciando in pratica il Baltico alla mercè degli umori russi.

 In pochi anni Mosca, che ha oggi 31 reattori, ne disporrà di 59. Sta costruendo o si accinge a costruire centrali in Iran, Cina, India, Bulgaria, Bielorussia e Turchia. La scorsa settimana Medvedev ha offerto tecnologia nucleare russa persino alla lontana Argentina dopo non aver avuto risposte convincenti dal Venezuela.

 L’obiettivo del Cremlino è quello di diventare uno dei maggiori produttori di energia nucleare e di guadagnare sulla vendita della sua tecnologia. La terribile tragedia di Cernobyl intralcia indirettamente questi disegni.

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