EU Eastern Dimension


 La battaglia d’Ucraina entra nel vivo. Il 17 gennaio è in  programma il primo turno delle attesissime elezioni presidenziali. Dal loro esito potrebbe cambiare il corso della repubblica ex sovietica, oggi tendente sempre più verso Occidente, verso l’Unione europea, e sempre meno verso la Russia.

 Tanti sono i candidati espressione di locali potentati economici nazionali e regionali. Due i netti favoriti per il ballottaggio: l’attuale premier Julija Timoshenko ed il russofono ex primo ministro Viktor Janukovich. Il terzo incomodo è il presidente uscente Viktor Jushenko che, seppur staccato nei sondaggi, mira ad indebolire la Timoshenko contro cui si è spesso scagliato in questi ultimi mesi criticando la politica economica del governo.

 La rivoluzione arancione dell’autunno 2004 ha visto i suoi protagonisti diventare acerrimi nemici. L’Ucraina vive un momento assai difficile per la gravissima crisi economica. Il Paese ha ottenuto un sostanzioso prestito dalle organizzazioni finanziarie internazionali, ma alcune sue tranches sono state bloccate per la mancanza di volontà di riforme. Con elezioni alle porte varie decisioni impopolari da prendere sono state rinviate.

 Proprio il congelamento dei prestiti fa temere alla russa Gazprom che l’11 gennaio l’Ucraina non pagherà le forniture di gas. Kiev nega ed afferma che tutto è a posto.

 Ufficialmente Russia, UE e Stati Uniti si mostrano lontani dalla contesa. Il presidente Medvedev ha, però, ribadito che è per colpa di Jushenko che le relazioni fra i due Paesi “fratelli slavi” sono così peggiorate. Mosca guarda comunque con simpatia sia alla Timoshenko che a Janukovich. Bruxelles si chiama fuori da uno scontro tradizionalmente a colpi bassi. E’ preoccupata soltanto dalla regolarità degli approvvigionamenti di gas. Obama segue la strada del “reset” col Cremlino e non intende infilarsi in una “rissa regionale”.

 Tanto, sostengono accreditati esperti, l’Ucraina seguirà verso Occidente e sarà la porta per le future riforme in Russia e nello spazio ex sovietico. Ma Mosca non è certo di questo parere.

  La Moldova è vicina alla paralisi del potere. Per la terza volta in pochi mesi il Parlamento nazionale non è riuscito ad eleggere il presidente della repubblica. La maggioranza centrista può contare solo su 53 seggi. Ne servono 61 su 101. I deputati dell’opposizione hanno abbandonato l’aula. Il candidato proposto, Marian Lupu, è un ex comunista, che attira forti antipatie dagli ex compagni di partito.

  Nella precedente legislatura, durata poche settimane, ai comunisti mancava solo un voto per scegliere loro la massima carica del Paese. Dopo lunghe ed interminabili consultazioni, precedute da gravi disordini di piazza, la parola tornò agli elettori. Alle ultime elezioni, tenutesi in luglio, il Pc ha perso il potere e detiene soltanto 48 mandati.

  Il rischio è che adesso si torni di nuovo alle urne. Le possibilità di un qualche accordo sono poche come alto è il rischio d’empasse. Entro il 10 dicembre è prevista una seconda votazione parlamentare. Se dovesse andare male ve ne sarà una terza.

  In caso di fumata nera le prossime elezioni generali non si potranno tenere prima dell’autunno 2010.

  La riforma costituzionale di un sistema elettivo così complicato sarà uno dei passi essenziale per rendere più moderno questo Paese, che resta uno dei più poveri del Vecchio Continente e mira ad una rapida integrazione con l’Unione europea.

 Erano quasi 90 mila i cittadini moldavi residenti in Italia alla fine del 2008 e poco più di 100 mila se si considerano i lavoratori per i quali è stata presentata domanda di regolarizzazione: una comunità consistente – la decima per numero di presenze – e che ha nell’Italia un riferimento importante, data anche l’affinità linguistica.

  Nel corso degli ultimi dieci anni l’immigrazione di moldavi nella Penisola ha avuto tassi di crescita eccezionali: poco più di 4 mila presenze nel 2001, 38 mila quelle registrate alla fine del 2004, fino agli attuali 100 mila. Solo nel corso del 2008 i residenti moldavi in Italia sono cresciuti di quasi un terzo (30,4%), a fronte di un aumento medio della popolazione straniera residente del 13,4%.

  Questi sono i dati della ricerca I moldavi in Italia: situazioni e prospettive, realizzata dalla Caritas Italiana e Fondazione Migrantes in collaborazione con l’ambasciata della repubblica ex sovietica.

  Si tratta di un’immigrazione prevalentemente femminile (67% del totale), che conta 15 mila minori iscritti nelle scuole italiane, che ha come punti di riferimento le province di Padova e Roma (entrambe con circa 8 mila residenti) e che vede l’inserimento lavorativo soprattutto nel settore domestico (32%), nell’edilizia (12%) ed in imprese di servizi e pulizie (11%).

 Dal punto di vista dell’insediamento territoriale i moldavi in Italia vivono soprattutto nelle regioni del nord ovest (35,2%), seguite da quelle del nord est (27%) e del centro (25,1%). Pochi al sud (9,1%) e nelle isole (3,7%).

Giuseppe D’Amato

Александр Лукашенко хочет купить украинскую электроэнергию. В Минске так надеются ослабить зависимость от российской нефти.

Деловая Газета – Виктор ЯДУХА – 05.11.2009

статья

На Украине началась предвыборная президентская кампания 19 октября 2009 года. Международная общественность интересуется ситуацией в бывшей социалистической республике. Один из вопросов – куда идет Крым.

Татьяна Ивженко  – Независимая Газета – 19.10.2009

статья

A dramatic change

30 Sep 2009

After May 2004 Central and Eastern Europe had a dramatic change. On one side Russia is trying to maintain its influence in the region, on the other former Kremlin’s satellites are looking for a new dimension. The European integration is one of the crucial topics in the EU agenda. The risk of isolating Moscow is real as its anger as a resurgent power.

The  western world needs Russia as a faithful ally for its raw material wealth, for its military capability, for its culture, for its experience in dealing with eastern peoples. There are too many existing challenges in the 21st century to do alone: nuclear proliferation, international terrorism, migration, climate changes, Chinese emerging power, reducing traditional energy sources.

Former Soviet republics and ‘new European’ States are seeking a difficult balance to reach. The history of the terrible for the entire Euro-Asian region 20th century still provokes political divisions in current affairs. How long will these problems continue to be painful?

Iran nuclear programme is the first topic in the international agenda after a secret  site has been recently discovered. President Obama decided to replace George Bush’s plan for the anti-missile Shield in Central Europe, clearing the way for better relationships with the Kremlin.

Iran maintains that its nuclear activities are peaceful, a view that is publicly shared by Russia, first supplier of atomic technology to the ayatollah. Prime Minister Vladimir Putin said earlier in September that there was no evidence that Iran was developing a nuclear bomb. The United States and Israel want Moscow to modify this position now.

The strange story of the Russian ship ‘Arctic Sea’  with a probable cargo of  S-300 anti-aircraft missile systems created anxiety in a number of European capitals. All options against Teheran, including the military,  are open in this moment. But what will Moscow do in case of an air attack against Iran? Will Russia miss the super-chance given by Obama to reset the relationship with the West?

 Barack Obama sospende la dislocazione dello Scudo spaziale Usa in Polonia e Repubblica ceca. L’Unione europea plaude alla decisione della Casa bianca, la Russia si gode la vittoria della fermezza, gli ex satelliti del Cremlino sprizzano rabbia da tutti i pori.

 Il dialogo Est-Ovest riparte da questo punto dopo le scelte unilaterali – alcune davvero incomprensibili – dell’Amministrazione Bush. A Washington serve l’ausilio russo per smontare la bomba iraniana. Altrimenti, tra pochi mesi, Obama o qualcun altro per interposta persona darà ordine ai bombardieri, invero con i motori accesi da tempo, di radere al suolo le centrali atomiche degli ayatollah.

 Il giallo della nave Arctic sea, scomparsa in Atlantico con un probabile carico formato da sistemi anti-missilistici SS-300, deve far riflettere. Lo stesso dicasi per il viaggio segreto “in privato” a Mosca del premier israeliano Netanyahu e successivamente quello ufficiale, ma inatteso e fuori calendario, del presidente Peres a Soci.

 Le decisioni di Washington sono figlie della gravissima crisi finanziaria in corso e dei dubbi sulla reale efficacia dell’attuale sviluppo tecnologico dello Scudo. La Russia non è vista come una minaccia per ora anche perché, lo ammette lo stesso ministro delle Finanze Aleksej Kudrin, il prezzo del petrolio è destinato a veleggiare intorno ai 50 dollari al barile nei prossimi tre anni.

 A queste quote il budget dell’ex superpotenza entrerà in una crisi maggiore di quella attuale. Un alto tasso di inflazione e disoccupazione elevata provocheranno non pochi problemi sociali. Il Cremlino avrà i suoi bei grattacapi, come se quelli di questi mesi non bastassero. L’industria ex sovietica, sopravvissuta al crollo dell’Urss e riadattata alle condizioni dell’economia di mercato, si è fermata irrimediabilmente e le sue produzioni non sono più concorrenziali in parte a causa dei prodotti a basso costo cinesi. Dove verranno trovati i fondi per gli ammodernamenti, non si sa. L’incidente alla centrale elettrica siberiana sintetizza lo stato di incuria in cui versano le infrastrutture.

 Con questa scelta Obama intende facilitare l’accordo con la Russia sul trattato Start, una delle fondamenta del disarmo, in scadenza il 5 dicembre. Si attende contemporaneamente alcune mosse distensive di Mosca che, invero, difficilmente si realizzeranno. I russi pensano di aver vinto. Potrebbero sprecare la seconda occasione per creare un mondo davvero libero, democratico e florido da Vladivostok a Vancouver. Washington lancia indirettamente un monito agli alleati ex satelliti del Cremlino a mettere da parte i rancori verso i russi, ma anzi con loro collaborare per sanare le ferite del recente passato. Basta contrapposizioni nel Vecchio Continente in presenza di un Medio Oriente esplosivo, di un terrorismo sempre in auge, di pericolose proliferazioni di armi e di fenomeni migratori di quasi impossibile contenimento. Il clamoroso passo falso è stato la scelta della data dell’annuncio. Il 17 settembre è da sempre una giornata di dolore: 60 anni fa i sovietici invadevano la Polonia, seguendo a ruota i nazisti. Ora, per Varsavia, doppio tradimento.

 Lo Scudo spaziale verrà, comunque, sviluppato dagli Usa a livello globale. E’ il progresso tecnologico ad imporglielo. Stati “non amici” hanno oggi la possibilità di produrre missili a medio raggio. Se non si vuole dipendere dagli umori del dittatorello di turno non c’è soluzione. Un sistema anti-missile regionale, integrato in quello Nato e forse con la Russia, verrà creato nel Vecchio Continente.

 La differenza è che oggi l’Ue plaudente dovrà mettere mano al portafoglio. Sono finiti i tempi dello “zio Pantalone” americano.

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Mosca, 23 agosto 1939

Prove di dialogo tra russi e polacchi. Vladimir Putin propone un percorso di avvicinamento simile a quello realizzato da francesi e tedeschi, la cui riconciliazione ha posto le fondamenta per la costituzione dell’Unione europea. I due popoli slavi sono divisi da secoli di incomprensioni e guerre. E’ venuto il momento, secondo il primo ministro russo, di voltare pagina.

Per prima cosa Mosca e Varsavia hanno costituito una commissione mista di storici con il compito di analizzare le troppe differenze esistenti. La “memoria” nella “nuova Europa”, ex satellite del Cremlino, ed in Russia non ha ancora seguito quell’evoluzione dolorosa maturata nelle libere democrazie occidentali tra il 1945 ed il crollo del Muro di Berlino. I vari politici della regione si ritrovano, pertanto, oggi davanti a scogli insormontabili.

Il patto Ribbentrop–Molotov fu un “atto immorale – ha dichiarato Putin -. Tuttavia, l’Urss era rimasta sola, a tu per tu, con la Germania, poiché gli occidentali si rifiutarono di costituire un unico sistema di difesa collettivo”. Per l’ex presidente l’intesa di Monaco di Baviera, sancita pochi mesi prima nel settembre 1938 tra le democrazie europee ed Hitler, aveva scompaginato le fila dei nemici del nazismo ed aveva “portato sfiducia e sospetto”. Francia e Gran Bretagna spingevano il pericolo tedesco “verso Est”.

Ma è il tragico capitolo dell’eccidio di Katyn – 22mila polacchi massacrati dalla polizia segreta di Stalin nel 1940 – ad avvelenare i rapporti bilaterali e di riflesso raffreddare quelli europei col Cremlino. Mosca ha ammesso sì dopo cinque decenni le sue responsabilità, ma ha consegnato solo in parte la documentazione a propria disposizione – 67 tomi su 183 – per “ragioni di segretezza”. Putin, seduto affianco del collega polacco Tusk, ha chiesto ieri uguale possibilità d’ingresso negli archivi. Mosca vuole conosce la sorte dei propri 94mila militari, fatti prigionieri da Varsavia nel 1920.

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Katyn

La storia dell’Europa centro-orientale nel XX secolo è una terribile sequenza di eventi sanguinosi. Chi più ne ha più ne metta. La mossa russa di voler finalmente discutere del passato serve ora a riaprire un qualche dialogo con i Paesi ex satelliti, dove la revisione impazza. In Ucraina, ad esempio, numerosi sono i monumenti eretti dedicati ad “eroi” nazionali macchiatisi di crimini efferati, spesso insieme alle SS naziste.

Le falsificazioni sono un pericolo reale e certe libere interpretazioni, che stravolgono verità provate, sono da troppo tempo utilizzate in chiave anti-russa. Il Cremlino se n’è reso conto. Interessante è la contemporanea pubblicazione, per la prima volta, da parte del controspionaggio russo SVR dei documenti sulla politica polacca tra il ’35 ed il ’45. Varsavia, allora, tentava di destabilizzare l’Ucraina ed il Caucaso. Sarà un ennesimo episodio di “disinformatsija”, in cui i russi sono maestri?

Per le scelte di Putin sono positivi i commenti di politici e mass media polacchi. “Una cosa saggia che avrà ripercussioni sui rapporti mondiali”, ha sottolineato l’ex premier Miller, conscio che la Polonia aveva offerto sul suo territorio siti per lo Scudo spaziale Usa in Europa.

La “nuova pagina”, a cui si riferiva Putin, si chiama mutua ricchezza. Mentre politici e storici infiammavano le proprie opinione pubbliche gli imprenditori hanno fatto in questi anni affari d’oro. L’interscambio tra russi e polacchi letteralmente vola!

Giuseppe D’Amato

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Today in Warsaw

 Gli occidentali hanno il calcio con la Champions League. Gli ex sovietici la musica con il festival della canzone continentale Eurovision. In palio vi è sempre l’onore nazionale. Mai nei 53 anni precedenti della competizione si erano registrati tanti scandali. Ma c’era da aspettarselo. Nel maggio 2008 a Belgrado vinsero i russi, che hanno acquisito il diritto di organizzare a Mosca la gara dell’anno successivo. Due i momenti principali di scontro: la canzone in rappresentanza della Georgia, Paese che ha combattuto in estate una sanguinosa guerra contro il Cremlino, e la selezione di quella padrona di casa.

 A Tbilisi ha trionfato il motivetto in inglese “We don’t wanna put in”, che, per assonanza, quando viene eseguito il ritornello, sembra diventare “We don’t want Putin” (noi non vogliamo Putin). Il gruppo Stephane and 3G non si accontenta solo di cantare qualcosa di poco accettabile per il potere moscovita, ma si spinge oltre mimando persino il gesto di puntare una pistola e sparare. Immaginabile la reazione dei russi, che hanno preso serissimamente la competizione organizzata con il patrocinio del governo. “Siamo dispiaciuti – ha detto il portavoce di Putin, Dmitrij Peshkov, – che i georgiani usino una gara così popolare in Europa per dimostrare le loro ambizioni semipolitiche”.

 Dietro alle quinte i russi hanno lavorato sodo e sono riusciti a far escludere dalla giuria internazionale questa canzone. Tbilisi ha così deciso di non inviare alcun rappresentante, adducendo rischi alla sicurezza personale. “We don’t wanna put in” è orecchiabile ed aveva concrete possibilità di sbancare Eurovision. Quasi tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico, oggi in aperto contrasto con Mosca, l’avrebbero votata. Uno smacco del genere in casa sarebbe stato difficilmente digeribile dai russi!

 Il festival europeo verrà guardato dall’intero gigante slavo disteso su 11 fusi orari. Ecco perché era importante la selezione di chi avrebbe difeso l’onore nazionale all’Olimpiskij stadion. Ha vinto la 21enne Anastasia Prikhodko con “Mamo”, ossia “mamma”. Gran parte delle strofe è in russo, mentre il ritornello è in ucraino. La ragazza è di Kiev con tanto di passaporto della repubblica slava sorella, entrata in contrasto con il Cremlino per il gas. Il testo di “Mamo” è stato scritto da un noto compositore georgiano, Konstantin Meladze. Di nuovo i georgiani! I georgiani, del resto, nel panorama canterino ex sovietico, sono come i napoletani in Italia.

 Disgrazia, vergogna, shock sono i commenti più gettonati tra i pretendenti sconfitti e sulla stampa. “Cosa cavolo c’entri un’ucraina con la Russia”, è la domanda più comune nei forum di Internet, nonostante Anastasia Prikhodko non sia una sconosciuta ed abbia vinto la settima edizione di “Fabbrica delle stelle”.

 La sua canzone non era stata selezionata per Eurovision dagli ucraini, che non volevano essere rappresentati da una canzone con alcune strofe in russo. Nel 2007 Kiev aveva scelto Verka Serdjuchka. La sua “Lasha Tumbai”, quando veniva eseguita, sembrava trasformare il ritornello ufficiale in “Russia goodbye” (Russia, arrivederci). Insomma dall’ascia di guerra alla guerra dei microfoni. L’evoluzione sembra positiva.

 Marzo – Aprile 2009

Pan Wajda

The truth on a crime hidden for half of a century. The defeat of a perfidious fabrication based on the silence. The will to give his farewell to this unbelievable tragedy. Katyn by Andrzej Wajda summarizes all this.

Its watching is in some points simply upsetting: impressive psychological portraits are mixed with scenes from a shambles. “We have been waiting for the right moment to make a film on the massacre of Katyn. The lie and the crime, connected with this event, are well inside our national conscience,” says the great Polish director.

More than 22 thousand Polish citizens, taken prisoners in autumn 1939, were slaughtered in USSR by NKVD, Stalinist secret police, in spring 1940. For decades the Nazi were unfairly accused of this butchery. “That dreadful falsehood was one of the basis of the Polish – Soviet friendship even if there were documents, dated 1943, that stated the opposite. It was denied the obvious ”, underlines Wajda.

The relatives of the victims were frightened to accept the invitation to attend the film that  was watched by more than 3 million people only in Poland. “Many of them lived those terrible years again at the cinema and found in the film episodes from their personal tragedies”, admits Isabella Sariusz Skapska, secretary of the Association of  Families.

“For years we have been seen photos and documents of Katyn, but there wasn’t the image,” says Andrzej Wajda in his Warsaw’s school of cinema. “We needed to explain in a visual way how a tragedy like this could happen. Such terrible historical events must find their place in the art if we want them to survive in the memory. Watching the film, people understand that this is the past. There’s no aim of revenge. Our film is a kind of funeral, an attempt to close with this drama forever.”

Which sources did you use? “The documents signed by Stalin and the Politburo are well known. Our work is not a documentary film. The events in the plot are taken from the tales of the victims and of their families. They are real stories.”

You have dedicated this film to your parents. How much is it autobiographic? “It isn’t all. My father was killed in the prison in Kharkov after being in Starobelsk. My mother lived till 1950 hoping that my father were safe. There wasn’t his name on the first edited Katyn list. Only thanks to the Red Cross aid later we discovered the truth.”

You are saying that there isn’t any personal element Katyn, aren’t you? “A character that is, may be, close to my mother is Anna, Andrzej’s wife, the officer of cavalry. In the film she is played by Maja Ostaszewska. It’s the woman who gives the farewell to her husband who goes to the captivity.”

In your film you used two real historically true symbolic images: a coming down from the cross Christ with a broken arm who lies among injured prisoners under a plaid and some Soviet troops who tear out the Polish flag. “It wasn’t necessary to have many. We used also some pieces from the original German and Soviet propaganda films of that period. We didn’t touch them, because this is the best way to show the manipulation of the truth. The event is the same, but the remarks are different. At the end of the film we added from the literature another symbol, that is the history of Antigon. A girl cuts her hair to defend the memory of her brother who dies fighting for his right to state that his father was killed by the Soviets.”

In your opinion, what did the Soviet  executioners think doing their dirty work? “There are documents with their number and names. NKVD’s killers slaughtered a victim after another. They did it mechanically without thinking. It’s impossible to carry out certain orders in another way. Every day they had to murder a hundred of Polish prisoners. From April 5th to the beginning of June 22 thousand people from 3 camps were killed. The most incredible thing is that even the Soviet executioners were later killed, because they became dangerous eyewitnesses.”

Is that of Katyn a crime of communism or of a totalitarian system? “The communism was a totalitarian system. Soviet Russia was a totalitarian State. This is a crime against humanity, one of the biggest reason of today’s bad relationship between Warsaw and Moscow. The Russians speak about Katyn as a tragedy provoked by the situation. We were enemies in war. The Poles respond it wasn’t necessary to kill all those people.”

Moscow’s newspaper Rossiiskaya Gazeta harshly criticized your film arguing that you didn’t use trustworthy sources. “It is not true. The documents are clear. The Germans discovered the mass graves and they analysed them in 1943. When the Polish prisoners were killed those regions were in Soviet hands. Berja and Central Committee’s documents with Stalin’s signature were delivered to President Lech Walesa in the Nineties. The rest was found in victims’ pockets. There are detailed notes, where everything is written. For example, from Adam Solski’s diary ‘we got on a truck at 6 in the morning. Who knows what’s going to happen?’ In the film we used this historical testimony.”

What was the most difficult thing to do in this film? “It was the decision to make the film. But, then, how to play it? How and what to tell? The killed soldiers’ stories? The women’ ones? Which historical period should we choose? We had to select the material. A film like this one must last no more than two hours. Was it better to decide for the story of one family or of more people? I chose to have more characters to use more memories and to be more free in the plot.”

Your film was shown in Moscow only twice at the mid of March: in the House of Cinema and in the House of Literature. There are serious problems. Katyn goes against common Russian belief of their history. “We have contacts with the human rights society Memorial. We are looking for fearless people who want to distribute our film.”

From your point of view, is this the time for the penitent of the Russians, as heirs of Soviet Union, and for Polish forgiveness? “The film was made with this idea. Russians made important steps ahead with the delivery of the documents during Mr. Gorbacev and Yeltsin Presidencies. May be, we should have made Katyn ten years ago. But this is art! The only thing I don’t want now is the political manipulation of our film.”

Personally, as a practicing Catholic, do you forgive your father’s killers? Mr. Wajda turns his face on his right side. He keeps silent for long endless seconds when we regret for this necessary question. Then, the great Polish director frowns and answers with a trembling voice. His eyes have become watery all of a sudden. “The Russians must face their own past. They must stop with their tales about their history full of glory and with their speeches on ideal systems. They should follow the example of Solgenitsin and of  Memorial. Here, we are not speaking about the forgiveness of one person, but of the entire Polish society. After the end of World War II Polish bishops wrote a letter to the German episcopate. They pardoned German people, because they saw convincing steps from the other side. You may forgive when the others recognize their sins.”

Giuseppe D’Amato

March 24th, 2008

 

See also Katyn. The end of a shame? EuropaRussia April 7th, 2010.

 

 

 

zona rossa Cernobyl
Zona rossa

“Un minuto di silenzio davanti all’icona della Santa Immacolata nel centro storico. Così a Minsk l’opposizione bielorussa ha ricordato il 22esimo anniversario dell’incidente di Cernobyl. La vita di milioni di persone è cambiata completamente da quella terribile notte del 26 aprile 1986. Alla centrale, situata a 120 chilometri a nord-est di Kiev sul confine con la Bielorussia e non lontano da quella russa, era in corso un esperimento quando il reattore numero 4 esplose improvvisamente, disperdendo radioattività in mezza Europa. La peggiore catastrofe atomica civile della storia era avvenuta. Furono milioni gli sfollati.
Ancora adesso non si conosce nemmeno il numero preciso di quanti abbiano perso la vita per questa tragedia, che ha mietuto vittime soprattutto tra i 25mila “liquidatori” accorsi da ogni angolo dell’Urss. I dati sono discordanti e si aggiornano di continuo. Per l’Onu solo 4mila persone morirono, ma le organizzazioni non governative contestano le statistiche ufficiali. Qualcuno azzarda la cifra di 900mila morti a seguito delle conseguenze delle radiazioni. In Ucraina 2,3 milioni di cittadini soffrono ufficialmente delle conseguenze del dramma atomico. Ogni anno centinaia di migliaia di bambini, soprattutto bielorussi, vengono portati all’estero per diminuire le probabilità di sviluppare il cancro alla tiroide.
 “Tutti i reattori ad eccezione del quarto sono ormai senza combustibile”, ha affermato in un comunicato la Protezione civile ucraina. La centrale di Cernobyl è stata chiusa solo nel dicembre 2000. I maggiori problemi attuali riguardano il sarcofago che racchiude il reattore esploso con 200 tonnellate di magma radioattivo. Si sta facendo l’impossibile affinché pioggia e neve non entrino all’interno. Presto dovrebbe essere costruito un nuovo contenitore e siti di stoccaggio. L’obiettivo delle autorità è di ripulire completamente l’area entro il 2018. Il segretario dell’Onu Ban Ki-mon ha promesso aiuti per le bonifiche.
 Ieri, vigilia della Pasqua ortodossa, all’interno della zona interdetta che si estende fino a 30 chilometri dalla centrale, sono stati fatti entrare gli sfollati, almeno i più nostalgici. In nottata, a Kiev, il presidente ucraino Jushenko ha partecipato ad una funzione religiosa ed ha posto una corona di fiori al monumento dedicato alle vittime.
Nei giorni scorsi il quotidiano filo-governativo Sovetskaja Belarus’ ha ricordato che, quasi sempre con la approssimarsi della ricorrenza, iniziano a circolare le voci più strane. Quest’anno si è parlato di fantasiose fughe radioattive da impianti vicini, costruiti con la stessa tecnologia di quella di Cernobyl.
 Nella repubblica ex sovietica il presidente Lukashenko spinge per la costruzione di una centrale per limitare la dipendenza energetica dalla Russia. Nei mesi passati Minsk e Mosca hanno a lungo litigato sul prezzo delle materie prime e sul transito verso ovest. “Chi vuole bene al Paese appoggia il progetto”, ha detto Lukashenko, mentre chi è contro “non sono scienziati, ma banditi della politica, gente che appartiene alla seconda ondata di Cernobyl”.
 L’opposizione ha deciso di radunare firme contro qualsiasi centrale. “Questo – ha sottolineato il leader socialdemocratico Nikolaj Statkevich – è per noi un giorno di lutto poiché ricordiamo il passato. Ma è anche una giornata di vergogna, vergogna per il potere che continua a nascondere questa tragedia, potere che il primo maggio 1986 fece scendere in strada la gente per le manifestazioni in onore dei lavoratori”.

26.04.2008

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