“Damascus is the “Stalingrad” of Russian diplomacy. After years of geopolitical withdrawal, Moscow has chosen Syria as a way to revive its image of power in the world. “Not one step back” is the Kremlin’s new strategy, as it was for the Red Army along the banks of the Volga river during World War II. To be more convincing, the Kremlin has simultaneously flexed its muscles by supplying sophisticated […]


South Stream, memorandum 23.06.2007

 

 Non si confonda il gossip e l’invidia di alleati probabilmente gelosi con i sacri interessi nazionali. Il rapporto con la Russia è quanto di più bipartisan ci sia stato nella politica italiana del dopo crollo dell’Urss. La personalizzazione, impressa dal premier Berlusconi, ha consolidato relazioni che hanno radici storiche. Senza andare troppo in là basta ricordare i legami diretti col Pcus del maggiore Partito comunista dell’Europa occidentale e gli affari stretti in epoca sovietica. 

 Fu la Fiat ad essere scelta nel maggio ‘66 a Togliattigrad per costruire le automobili per il popolo. E fu Enrico Mattei in precedenza ad aprire quel mercato, apparentemente così lontano ed irraggiungibile. Le nostre aziende, affamate di idrocarburi, si affrancavano così in parte dal potere dalle “Sette sorelle”.    

 Nel marzo 2007 è stato il governo Prodi a definire con l’allora presidente Putin uno dei più importanti (di sempre!) pacchetti di accordi su energia ed infrastrutture, per non parlare della produzione del Superjet 100. Agli inizi del mese successivo l’Eni e l’Enel acquistavano all’asta per 5,8 miliardi di dollari alcuni dei più contestati asset della Yukos, la compagnia petrolifera dell’oligarca Michail Khodorkovskij, oggi in prigione, dietro il quale si nascondevano – secondo gli specialisti – finanziatori americani di Wall Street. In uno dei messaggi, pubblicati da WikiLeaks, si fa menzione degli “scambi di favori” tra Gazprom e le società italiane, che successivamente hanno rivenduto in parte quegli asset, levando le castagna dal fuoco ai russi ed evitando loro grane legali internazionali.    

 Ma gli italiani sono con i tedeschi i fidati alleati strategici del Cremlino nelle infrastrutture con i francesi che tentano in tutti i modi di infilarsi nella partita. Soltanto i nostri tecnici, fiore all’occhiello di un Paese in perenne crisi isterica, sono riusciti a costruire pipeline ultratecnologiche sottomarine uniche al mondo. Il russo-tedesco “Nord Stream” sotto al Baltico è stato affidato nella sua fase esecutiva ad un’impresa nostrana. Parallelamente l’Eni gestisce il “South Stream”, analogo gasdotto sotto al Mar Nero, in concorrenza con il “Nabucco di ispirazione americana e degli europei filo-Usa. L’obiettivo finale è di rendere l’Italia un “hub” del gas nel Vecchio continente, realizzando il progetto di indipendenza energetica di Mattei.    

 Il segreto di questa politica bipartisan sta nella Commissione bilaterale intergovernativa, nella sapienza del gruppo dirigente dell’Eni e nei forum degli imprenditori, l’ultimo dei quali si è tenuto pochi giorni fa. Sono loro che suggeriscono idee e proposte.    

 L’Esecutivo Berlusconi, ironia della sorte, è quello che negli ultimi anni ha maggiormente differenziato le fonti di approvvigionamento ed ha ridotto la nostra dipendenza energetica dalla Russia: oggi, certificano enti indipendenti, 33% da Mosca e 32% dall’Algeria. I meriti del Presidente del Consiglio nell’aver aperto il mercato dell’ex superpotenza alle aziende italiane sono davvero tanti dopo l’inconcludenza dei nostri manager negli anni Novanta. Forse ci si è dimenticati troppo in fretta del mancato accordo della Fiat nel 1998 con la Gaz?    

 Per i russi l’Italia è un punto di riferimento in numerosi campi. Non è un caso che il filmato di presentazione a Zurigo dei Mondiali di calcio del 2018 mostri un ragazzo, Sascia, con indosso la maglietta della Russia, che tenta di fare un goal ai “maestri” azzurri del Bel Paese. Il sogno di quell’adolescente di vedere i campioni negli stadi di casa si è realizzato, mentre per noi quello di Enrico Mattei rimane a portata di mano.   

Giuseppe D’Amato

 «Расходы на чемпионат мира в 5—15 раз превысят оценки Владимира Путина ($10 млрд.), а сэкономить за счет инвестиций со стороны не удастся, уверены эксперты. Бизнес раскошелится на $10—20 млрд., остальную сумму придется выкраивать из бюджета.  »

 статьяМосковский Комсомолец № 25516 от 4.12.2010 г.

 Se sono non pochi i leader mondiali non proprio contenti delle rivelazioni di Wikileaks ce n’è uno che addirittura si frega le mani. Il lungo lavoro certosino dietro alle quinte o quasi ha dato i suoi positivi effetti anche all’estero. Gli stranieri hanno avuto la definitiva conferma su chi realmente diriga la Russia o come si dice a Mosca “chi comanda in casa propria”. Vladimir Putin esce da questo primo mega-scandalo “virtuale” planetario del XXI secolo come un vincitore con inimmaginabili ricadute d’immagine in Patria.

 Nel corso dell’ultimo decennio l’attuale premier è stato fotografato o ripreso ovunque nelle situazioni più incredibili: mentre nuota in un fiume siberiano come il leggendario leader cinese Mao, mentre guida un aereo caccia supersonico, mentre a torso nudo va a pesca oppure partecipa ad una battuta ecologica per la difesa delle tigri. Un anno non troppo lontano fa le russe hanno cantato a squarciagola il tormentone estivo “vorrei uno come Putin che non beva, che non se ne scappi via e che mi rispetti”. Persino i gay hanno collezionato la fotografia dell’“uomo forte” del Paese, campione di judo, dai super pettorali, creando non poco imbarazzo nella sala russa dei bottoni.

 Ma adesso, quasi all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali del 2012, quando qualcuno ipotizza una corsa contro il giovane ed ambizioso Dmitrij Medvedev, nessuno si aspettava dagli americani un simile regalo. In un dispaccio diplomatico Putin è definito l’“alpha dog”, il capobranco che domina la scena politica del suo Paese, il macho. “Grazie Wikileaks”, devono aver pensato nell’entourage del primo ministro: nemmeno l’acrobazia mediatica più sofisticata dei super consulenti di immagine del premier avrebbe ottenuto migliori risultati.

 Per di più in un messaggio pubblicato dal sito del ficcanaso Assange i funzionari Usa raccontano il ruolo informale svolto dall’attuale “first lady” russa all’interno dell’Amministrazione federale. Svetlana Medvedeva “crea rapporti tesi tra gli opposti schieramenti e rimane argomento di attivi pettegolezzi”. I diplomatici scrivono che la moglie del presidente ha stilato una lista di alti ufficiali – a cui sono stati creati ostacoli nello svolgimento della loro carriera – non fedeli al capo del Cremlino. Insomma questo è il bel fiocchetto finale sul dono confezionato da Wikileaks per Natale!

«Мы хотим, чтобы наши дети были лучше нас, чтобы они жили лучше, чем мы” — тема смены поколений стала главной в новом Послании Дмитрия Медведева Федеральному собранию. Но вот о смене политических поколений — предстоящей в 2012 году пересменке в Кремле — в программной речи главы государства было сказано на изумление мало. Такое впечатление, что наш правящий тандем затеял с публикой игру в политические прятки».

статья  – Московский Комсомолец № 25513 от  1 декабря 2010 г. Михаил Ростовский

Mikhail Rostovsky Moskovskij Komsomolets 

“In the next 25 years Romania and Moldova could be united again,” Romanian President Traian Basescu said in an article edited in Romanian newspaper Romania Libera. “EU borders will extend to the Dnestr River, and the democratic development in the region will be an incentive for other countries, such as Ukraine, to join the EU,” the president added. “The Balkans will become part of the EU and NATO within 25 years.”

La soluzione della crisi politica moldava appare ancora lontana. I risultati delle parlamentari non hanno assegnato chiare vittorie. Il Partito comunista, la formazione più votata, ha ottenuto 42 mandati contro i 43 precedenti, i liberal-democratici del premier Filat 32 (ne avevano 18), quello democratico dell’ex speaker Lupu 15 (13) e i liberali di Ghimpu 12 (15). Le altre 16 compagini che hanno partecipato al voto non hanno superato la barriera del 4%. L’affluenza alle urne si è attestata al 58,9%. All’estero hanno votato oltre 30mila moldavi, una decina erano i seggi aperti in Italia.

La coalizione liberale controlla 59 seggi su 101, 6 in più rispetto alle elezioni del luglio 2009. Ne mancano 2 per poter eleggere il presidente come vuole la Costituzione. Da oltre un anno e mezzo l’ex repubblica sovietica è senza il capo dello Stato ed in una situazione di paralisi istituzionale. La prima riunione del Parlamento, appena eletto, è prevista per dopo il 28 dicembre.

La tensione a Chisinau si taglia col coltello. Il leader dei comunisti Vladimir Voronin ha accusato i partiti al governo di avergli rubato il 10% dei voti. Senza un accordo tra i partiti non sembra possibile l’elezione del presidente e la fine di questa interminabile crisi.

Risultati

PC: 32,29%

PDLM: 29,38%

PDM: 12,72%

PL: 9,96%

Lista eletti

PCRM:
1. Voronin Vladimir, 1941, MP, president of the PCRM
2. Greceayii Zinaida, 1956, former Prime Minister
3. Muntean Iurie, 1972, economist, executive secretary of the PCRM
4. Postoico Maria, 1950, MP
5. Tkachuk Mark, 1966, MP
6. Dodon Igor, 1975, MP
7. Misin Vadim, 1945, MP
8. Vitiuc Vladimir, 1972, MP
9. Vlah Irina, 1974, MP
10. Petrenco Grigore, 1980, MP
11. Balmos Galina, 1961, MP
12. Zagorodnyi Anatolie, 1973, MP
13. Ivanov Violeta, 1967, MP
14. Sova Vasilii, 1959, MP
15. Sarbu Serghei, 1980, jurist
16. Domenti Oxana, 1972, MP
17. Chistruga Zinaida, 1954, MP
18. Gagauz Miron, 1954, MP
19. Panciuc Vasilii, 1949, mayor of Balti
20. Mironic Alla, 1941, teacher
21. Bannicov Alexandr, 1962, engineer
22. Poleanschi Mihail, 1980, anthropologist
23. Stati Sergiu, 1961, historian
24. Todua Zurab, 1963, historian
25. Gorila Anatolie, 1960, engineer
26. Bodnarenco Elena, 1965, MP
27. Staras Constantin, 1971, journalist
28. Bondari Veaceslav, 1960, expert in science of commodities
29. Abramciuc Veronica, 1958, MP
30. Reidman Oleg, 1952, MP
31. Musuc Eduard, 1975, MP
32. Eremciuc Vladimir, 1951, MP
33. Garizan Oleg, 1971, MP
34. Babenco Oleg, 1968, MP
35. Mandru Victor, 1059, MP
36. Filipov Serghei, 1965, doctor’s assistant
37. Reshetnikov Artur, 1975, former SIS director
38. Shupak Inna, 1984, anthropologist
39. Botnariuc Tatiana, 1967, MP
40. Petcov Alexandr, 1972, journalist
41. Popa Gheorghe, 1956, engineer
42. Anghel Gheorghe, 1959, jurist

The PLDM:
1. Filat Vlad, 1969, jurist, president of the PLDM, Premier
2. Tanase Alexandru, 1971, jurist, first vice president of the PLDM, Minister of Justice
3. Godea Mihai, 1974, historian, first vice president of the PLDM, MP
4. Palihovici Liliana, 1971, historian, vice president of the PLDM, MP
5. Leanca Iurie, 1963, Deputy Prime Minister, Minister of Foreign Affairs and European Integration
6. Belostencinic Grigore, 1960, economist, rector of the Academy of Economic Sciences
7. Hotineanu Vladimir, 1950, doctor, surgeon, Minister of Health
8. Juravschi Nicolae, 1964, chairman of the Olympic Committee
9. Tap Iurie, 1955, teacher, deputy Head of Parliament
10. Bolocan Lilia, 1972, teacher, AGEPI head
11. Ghiletchi Valeriu, 1960, MP
12. Sleahtitchi Mihai, 1956, MP, lecturer
13. Agache Angela, 1976, MP
14. Balan Ion, 1962, agronomist, MP
15. Deliu Tudor, 1955, MP
16. Ionita Veaceslav, 1973, MP, economist
17. Strelet Valeriu, 1970, jurist, historian, MP
18. Furdui Simion, 1963, historian, MP
19. Lucinschi Chiril, 1970, diplomat, businessman
20. Mocanu George, 1982, economist, head of the State Chancellery’s Local Administration Division
21. Cobzac Grigore, 1959, engineer, MP
22. Cimbriciuc Alexandru, 1968, jurist, MP
23. Butmalai Ion, 1964, jurist, MP
24. Ciobanu Ghenadie, 1957, teacher, composer, MP
25. Olaru Nicolae, 1958, MP
26. Ionas Ivan, 1956, engineer, MP
27. Plesca Nae-Simion, 1955, philologist, businessman
28. Dimitriu Anatolie, 1973, jurist
29. Ciobanu Maria, 1953, teacher
30. Vlah Petru, 1970, jurist, a member of the People’s Assembly of Gagauzia
31. Vacarciuc Andrei, 1952, head of Cimislia district
32. Stirbate Petru, 1960, doctor

The PD:
1. Lupu Marian, 1966, economist, MP, the president of the PDM
2. Plahotniuc Vladimir, 1966, engineer, businessman
3. Lazar Valeriu, 1968, Minister of Economy, vice president of the PDM
4. Corman Igor, 1969, historian, diplomat, vice president of the PDM
5. Diacov Dumitru, 1952, journalist, MP, president of honor of the PDM
6. Raducan Marcel, 1967, Minister of Construction and Regional Development
7. Candu Andrian, 1975, jurist, entrepreneur, director general
8. Buliga Valentina, 1961, Minister of Labor, Social Protection and Family
9. Filip Pavel, 1966, director general, SA Tutun-CTC
10. Botnari Vasile, 1975, economist
11. Stoianoglo Alexandru, 1967, MP
12. Apolschii Raisa, 1964, lawyer
13. Bolboceanu Iurie, 1959, unemployed
14. Guma Valeriu, 1964, economist, MP
15. Ghilas Anatolie, 1957, engineer, MP

The PL:
1. Ghimpu Mihai, 1951, jurist, chairman of the PL, Head of Parliament and Moldova’s Acting President
2. Salaru Anatolie, 1962, doctor, Minister of Transport
3. Fusu Corina, 1959, journalist, MP
4. Hadarca Ion, 1949, philologist, writer, MP
5. Munteanu Valeriu, 1980, jurist, MP
6. Bodrug Oleg, 1965, physician, editor, MP
7. Vieru Boris, 1957, philologist, MP
8. Lupan Vladimir, 1971, diplomat, physician, presidential adviser
9. Popa Victor, 1949, jurist, teacher at the Free International University
10. Cojocaru Vadim, 1961, economist, MP
11. Gutu Ana, 1962, philologist, MP
12. Brega Gheorghe, 1951, doctor, MP.

«Мрачный, но абсолютно верный диагноз сегодняшнему состоянию нашей политической системы поставил президент Дмитрий Медведев. Впервые с самого верха прозвучало хлесткое слово “застой”. В наш прошлый “период стабильности” услышать что-то подобное из уст генсека Брежнева было делом абсолютно немыслимым. И это внушает надежды, что в 2010-м мы еще не завязли так сильно, как, например, в 1980-м. Но вот только последует ли за диагнозом лечение?»

Статья –  Московский Комсомолец № 25508 от 25 ноября 2010 г. Михаил Ростовский

Mikhail Rostovsky Moskovskij Komsomolets

Confident for the euro, Russia and Europe may join single currency someday in the future. Mr. Vladimir Putin took part in the German – Russian summit in Berlin. The euro has proven itself “a stable world currency,” Russian Prime Minister said. “We have to get away from the overwhelming dollar monopoly. It makes the world economy vulnerable,” Putin added. Earlier in a letter edited by a German newspaper the former President wrote “We should be frank about it: The global economic crisis has revealed both Russia and the EU to be economically very vulnerable.” Mr. Putin suggested to create a free-trade zone.

Mrs. Angela Merkel called that a “vision for the future,” and stressed the need for close economic cooperation as a first step. “But the closer our economies are linked, the easier and the more interesting it will be to adjust also the currency policy,” the German Chancellor said. In the meantime, Mrs. Merkel added, Moscow had to conclude talks to join the W.T.O. Russia, which opened its bid to join the WTO in 1993, is the last major world power not a member of the Geneva-based global trade body.

Mr. Putin expressed criticism to the Third Energy Package. Agreed in 2009, it was designed to liberalize the EU’s energy markets by separating the production and distribution networks of large energy companies to foster more competition. The other element of the package allowed smaller energy companies access to the grids, which had been blocked by the big companies. “Our companies, together with German partners, legally acquired distribution assets in Lithuania,” Mr. Putin said. “Now they are being thrown out there with reference to the Third Energy Package. What is this then? What is this robbery?”

E’ la fine definitiva di una delle più terribili bugie della Seconda guerra mondiale. La Russia si libera del peso di un’infamia spaventosa. La “tragedia” di Katyn, dove nella primavera del 1940 furono passati per le armi circa 22mila polacchi, fu opera dell’Unione Sovietica. “Tutti i materiali, per anni rimasti negli archivi – si legge in un documento ufficiale approvato dalla Duma, la Camera bassa del Parlamento federale, – testimoniano che il massacro è stato compiuto da Stalin e da altri dirigenti sovietici”.

Per decenni l’Urss addossò la responsabilità dell’eccidio ai nazisti. I carnefici uccisero le proprie vittime con colpi di pistola di fabbricazione tedesca nel cranio. Le prime parziali ammissioni, che la verità “ufficiale” non era quella, giunsero negli ultimi anni della perestrojka con Gorbaciov. Fu, però, Boris Eltsin, che trasmise parte dei documenti d’archivio a Varsavia, a porgere le scuse del suo Paese, anch’esso uscito prostrato dalla repressione comunista. Katyn, purtroppo, era soltanto una tragica goccia nel mare di sangue dei popoli sovietici, provocato dallo stalinismo.

Dopo il Duemila i rapporti russo-polacchi sono diventati sempre più tesi. La ragione primaria del contendere era di carattere storico. Troppi i buchi neri nelle relazioni fra i due popoli slavi, avversari o nemici nel corso dei secolo. Katyn, in particolare, continuava a pesare come un macigno.

All’inizio della primavera scorsa Mosca ha finalmente scelto la strada della piena collaborazione con Varsavia. L’obiettivo era quello di estirpare, una volta per tutte, una delle più dolorose spine nel fianco della propria politica estera. I polacchi, ad esempio, avevano accordato la propria disponibilità agli Stati Uniti per la dislocazione di siti del cosiddetto “Scudo spaziale” sul proprio territorio in funzione anti-russa. Varsavia creava problemi al processo di avvicinamento di Mosca all’Unione europea.

La sciagura di Smolensk ha ulteriormente accelerato gli eventi. Le immagini televisive di Putin e Medvedev con le lacrime agli occhi, abbracciati con i superstiti della dirigenza polacca, davanti ai resti dell’aereo del presidente Kaczynski hanno aiutato a sfondare definitivamente il muro della reciproca diffidenza. Mosca ha accolto in maggio sulla Piazza Rossa un drappello di ufficiali polacchi che hanno sfilato, insieme ai militari della Nato, in ricordo della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Un onore del genere era impensabile soltanto nell’estate del 2008.

Quello della Duma – ha commentato il premier polacco Donald Tusk – “è un gesto politico importante”. I due Paesi hanno ormai compreso che è venuto il tempo di voltare pagina e di essere stati entrambi vittime del totalitarismo del XX secolo.

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The figure towering over the town of Swiebodzin is 33 meters high – with a three meter golden crown and 16 meter high mound on which the statue stands, the total height is 52 meters, making it higher than the famous Christ the Redeemer statue in Rio de Janeiro, which is 38 meters tall.

The entire construction weighs about 440 tons.

Thousands of believers attended the unveiling and consecration of the white plaster and fiberglass figure, which is the brain child of local priest Sylwester Zawadzki.

“It’s fantastic. That’s the word which perhaps describes best what I can see here,” said an admiring woman at the ceremony on Sunday.

But the imposing figure has divided Poles. Critics say it is too big, bordering on megalomania and that the money could have been better spent.

The authorities in Swiebodzin, a town with a population of 22,000,  hope that the majestic figure of Jesus Christ will attract pilgrims and tourists, bringing IN money and enlivening the local market. The figure can be seen by motorists on the Warsaw-Berlin motorway.

Source: PAP

ARTICLE – AFP

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