Euro-Integration


На Украине началась предвыборная президентская кампания 19 октября 2009 года. Международная общественность интересуется ситуацией в бывшей социалистической республике. Один из вопросов – куда идет Крым.

Татьяна Ивженко  – Независимая Газета – 19.10.2009

статья

 Lo scoglio Klaus sulla strada della definitiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Manca, infatti, soltanto il suo “sì” dopo l’approvazione da parte degli altri ventisei membri della cosiddetta mini -Costituzione. Il presidente ceco è conosciuto come il capo di Stato Ue più euroscettico del Vecchio Continente. Scalpore aveva fatto il suo incontro in Irlanda nel 2008 con Declan Ganley, capo del movimento “no a Lisbona”.

 Ad inizio ottobre, dopo un tentativo referendario fallito, Dublino ha dato luce verde al Trattato. All’appello mancavano così Varsavia e Praga. L’altro euroscettico, il polacco Lech Kaczynski, irritato per la sospensione americana del progetto che prevedeva il dislocamento dello Scudo spaziale Usa nel suo Paese, non ci ha pensato due volte ed ha firmato il documento già approvato dal Parlamento nazionale.

 L’imprevedibile Klaus si è, pertanto, ritrovato da solo a difendere gli interessi o a combattere le paure della “Nuova Europa”. Gli ex satelliti del Cremlino avevano accettato di aderire all’Unione europea nel maggio 2004 soprattutto per sfuggire alla secolare infelice situazione geostrategica con i russi terribilmente troppo vicini. Il loro timore, reso spesso pubblico, è che non si uscisse da un meccanismo  opprimente per entrarne in un altro. Nessuno voleva sostituire Bruxelles con Mosca dopo la gioia per la libertà ritrovata con il crollo del Muro di Berlino.

 La speranza, quindi, è stata per anni che i tentativi di rafforzare politicamente i Ventisette naufragassero. Va bene area economica – commerciale – democratica e di diritto, ma niente unione politica. Sarebbe calzata a pennello anche una Comunità a due velocità. In questi Paesi lo scontro è stato generazionale e sociale: i giovani col cuore e la mente verso l’Europa, gli anziani col pensiero all’America. 

 Klaus vuole ufficialmente garantirsi contro possibili rivendicazioni dei tedeschi dei Sudeti, espulsi nel 1945, e richiede delle modifiche sul capitolo dei diritti fondamentali. I polacchi provarono a sollevare un’analoga questione l’anno scorso, poi desistirono. Bruxelles seccamente gli ha risposto di non creare “problemi artificiosi”. Senza il Trattato di Lisbona, già di per sé lacunoso, si va verso la paralisi dell’Ue e nessuno è disposto ad accettare una simile situazione.

 I tempi per la firma di Klaus sono stretti. Nelle mani del presidente ceco si gioca il destino della mini-Costituzione continentale, già approvata dal Parlamento nazionale. Il 27 ottobre la Corte costituzionale si riunirà a Praga per sentenziare se il Trattato non contraddica la Legge fondamentale nazionale. Il 29, due giorni dopo, il summit dei leader europei. L’incubo per Bruxelles è che si debba riaprire il processo di ratifica in tutti i Ventisette membri.

A dramatic change

30 Sep 2009

After May 2004 Central and Eastern Europe had a dramatic change. On one side Russia is trying to maintain its influence in the region, on the other former Kremlin’s satellites are looking for a new dimension. The European integration is one of the crucial topics in the EU agenda. The risk of isolating Moscow is real as its anger as a resurgent power.

The  western world needs Russia as a faithful ally for its raw material wealth, for its military capability, for its culture, for its experience in dealing with eastern peoples. There are too many existing challenges in the 21st century to do alone: nuclear proliferation, international terrorism, migration, climate changes, Chinese emerging power, reducing traditional energy sources.

Former Soviet republics and ‘new European’ States are seeking a difficult balance to reach. The history of the terrible for the entire Euro-Asian region 20th century still provokes political divisions in current affairs. How long will these problems continue to be painful?

Iran nuclear programme is the first topic in the international agenda after a secret  site has been recently discovered. President Obama decided to replace George Bush’s plan for the anti-missile Shield in Central Europe, clearing the way for better relationships with the Kremlin.

Iran maintains that its nuclear activities are peaceful, a view that is publicly shared by Russia, first supplier of atomic technology to the ayatollah. Prime Minister Vladimir Putin said earlier in September that there was no evidence that Iran was developing a nuclear bomb. The United States and Israel want Moscow to modify this position now.

The strange story of the Russian ship ‘Arctic Sea’  with a probable cargo of  S-300 anti-aircraft missile systems created anxiety in a number of European capitals. All options against Teheran, including the military,  are open in this moment. But what will Moscow do in case of an air attack against Iran? Will Russia miss the super-chance given by Obama to reset the relationship with the West?

 Barack Obama sospende la dislocazione dello Scudo spaziale Usa in Polonia e Repubblica ceca. L’Unione europea plaude alla decisione della Casa bianca, la Russia si gode la vittoria della fermezza, gli ex satelliti del Cremlino sprizzano rabbia da tutti i pori.

 Il dialogo Est-Ovest riparte da questo punto dopo le scelte unilaterali – alcune davvero incomprensibili – dell’Amministrazione Bush. A Washington serve l’ausilio russo per smontare la bomba iraniana. Altrimenti, tra pochi mesi, Obama o qualcun altro per interposta persona darà ordine ai bombardieri, invero con i motori accesi da tempo, di radere al suolo le centrali atomiche degli ayatollah.

 Il giallo della nave Arctic sea, scomparsa in Atlantico con un probabile carico formato da sistemi anti-missilistici SS-300, deve far riflettere. Lo stesso dicasi per il viaggio segreto “in privato” a Mosca del premier israeliano Netanyahu e successivamente quello ufficiale, ma inatteso e fuori calendario, del presidente Peres a Soci.

 Le decisioni di Washington sono figlie della gravissima crisi finanziaria in corso e dei dubbi sulla reale efficacia dell’attuale sviluppo tecnologico dello Scudo. La Russia non è vista come una minaccia per ora anche perché, lo ammette lo stesso ministro delle Finanze Aleksej Kudrin, il prezzo del petrolio è destinato a veleggiare intorno ai 50 dollari al barile nei prossimi tre anni.

 A queste quote il budget dell’ex superpotenza entrerà in una crisi maggiore di quella attuale. Un alto tasso di inflazione e disoccupazione elevata provocheranno non pochi problemi sociali. Il Cremlino avrà i suoi bei grattacapi, come se quelli di questi mesi non bastassero. L’industria ex sovietica, sopravvissuta al crollo dell’Urss e riadattata alle condizioni dell’economia di mercato, si è fermata irrimediabilmente e le sue produzioni non sono più concorrenziali in parte a causa dei prodotti a basso costo cinesi. Dove verranno trovati i fondi per gli ammodernamenti, non si sa. L’incidente alla centrale elettrica siberiana sintetizza lo stato di incuria in cui versano le infrastrutture.

 Con questa scelta Obama intende facilitare l’accordo con la Russia sul trattato Start, una delle fondamenta del disarmo, in scadenza il 5 dicembre. Si attende contemporaneamente alcune mosse distensive di Mosca che, invero, difficilmente si realizzeranno. I russi pensano di aver vinto. Potrebbero sprecare la seconda occasione per creare un mondo davvero libero, democratico e florido da Vladivostok a Vancouver. Washington lancia indirettamente un monito agli alleati ex satelliti del Cremlino a mettere da parte i rancori verso i russi, ma anzi con loro collaborare per sanare le ferite del recente passato. Basta contrapposizioni nel Vecchio Continente in presenza di un Medio Oriente esplosivo, di un terrorismo sempre in auge, di pericolose proliferazioni di armi e di fenomeni migratori di quasi impossibile contenimento. Il clamoroso passo falso è stato la scelta della data dell’annuncio. Il 17 settembre è da sempre una giornata di dolore: 60 anni fa i sovietici invadevano la Polonia, seguendo a ruota i nazisti. Ora, per Varsavia, doppio tradimento.

 Lo Scudo spaziale verrà, comunque, sviluppato dagli Usa a livello globale. E’ il progresso tecnologico ad imporglielo. Stati “non amici” hanno oggi la possibilità di produrre missili a medio raggio. Se non si vuole dipendere dagli umori del dittatorello di turno non c’è soluzione. Un sistema anti-missile regionale, integrato in quello Nato e forse con la Russia, verrà creato nel Vecchio Continente.

 La differenza è che oggi l’Ue plaudente dovrà mettere mano al portafoglio. Sono finiti i tempi dello “zio Pantalone” americano.

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Mosca, 23 agosto 1939

Prove di dialogo tra russi e polacchi. Vladimir Putin propone un percorso di avvicinamento simile a quello realizzato da francesi e tedeschi, la cui riconciliazione ha posto le fondamenta per la costituzione dell’Unione europea. I due popoli slavi sono divisi da secoli di incomprensioni e guerre. E’ venuto il momento, secondo il primo ministro russo, di voltare pagina.

Per prima cosa Mosca e Varsavia hanno costituito una commissione mista di storici con il compito di analizzare le troppe differenze esistenti. La “memoria” nella “nuova Europa”, ex satellite del Cremlino, ed in Russia non ha ancora seguito quell’evoluzione dolorosa maturata nelle libere democrazie occidentali tra il 1945 ed il crollo del Muro di Berlino. I vari politici della regione si ritrovano, pertanto, oggi davanti a scogli insormontabili.

Il patto Ribbentrop–Molotov fu un “atto immorale – ha dichiarato Putin -. Tuttavia, l’Urss era rimasta sola, a tu per tu, con la Germania, poiché gli occidentali si rifiutarono di costituire un unico sistema di difesa collettivo”. Per l’ex presidente l’intesa di Monaco di Baviera, sancita pochi mesi prima nel settembre 1938 tra le democrazie europee ed Hitler, aveva scompaginato le fila dei nemici del nazismo ed aveva “portato sfiducia e sospetto”. Francia e Gran Bretagna spingevano il pericolo tedesco “verso Est”.

Ma è il tragico capitolo dell’eccidio di Katyn – 22mila polacchi massacrati dalla polizia segreta di Stalin nel 1940 – ad avvelenare i rapporti bilaterali e di riflesso raffreddare quelli europei col Cremlino. Mosca ha ammesso sì dopo cinque decenni le sue responsabilità, ma ha consegnato solo in parte la documentazione a propria disposizione – 67 tomi su 183 – per “ragioni di segretezza”. Putin, seduto affianco del collega polacco Tusk, ha chiesto ieri uguale possibilità d’ingresso negli archivi. Mosca vuole conosce la sorte dei propri 94mila militari, fatti prigionieri da Varsavia nel 1920.

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Katyn

La storia dell’Europa centro-orientale nel XX secolo è una terribile sequenza di eventi sanguinosi. Chi più ne ha più ne metta. La mossa russa di voler finalmente discutere del passato serve ora a riaprire un qualche dialogo con i Paesi ex satelliti, dove la revisione impazza. In Ucraina, ad esempio, numerosi sono i monumenti eretti dedicati ad “eroi” nazionali macchiatisi di crimini efferati, spesso insieme alle SS naziste.

Le falsificazioni sono un pericolo reale e certe libere interpretazioni, che stravolgono verità provate, sono da troppo tempo utilizzate in chiave anti-russa. Il Cremlino se n’è reso conto. Interessante è la contemporanea pubblicazione, per la prima volta, da parte del controspionaggio russo SVR dei documenti sulla politica polacca tra il ’35 ed il ’45. Varsavia, allora, tentava di destabilizzare l’Ucraina ed il Caucaso. Sarà un ennesimo episodio di “disinformatsija”, in cui i russi sono maestri?

Per le scelte di Putin sono positivi i commenti di politici e mass media polacchi. “Una cosa saggia che avrà ripercussioni sui rapporti mondiali”, ha sottolineato l’ex premier Miller, conscio che la Polonia aveva offerto sul suo territorio siti per lo Scudo spaziale Usa in Europa.

La “nuova pagina”, a cui si riferiva Putin, si chiama mutua ricchezza. Mentre politici e storici infiammavano le proprie opinione pubbliche gli imprenditori hanno fatto in questi anni affari d’oro. L’interscambio tra russi e polacchi letteralmente vola!

Giuseppe D’Amato

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Today in Warsaw

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Astensionismo di massa, protesta e delusione. E’ questa la “nuova Europa” uscita dalle urne del voto continentale della scorsa settimana. Gli ultimi aderenti ai Ventisette hanno consegnato a Bruxelles tassi di partecipazione allucinanti con partiti xenofobi o anti-europeisti in sensibile crescita. Ma non era l’Est – ci si domanda per l’ennesima volta – ad aver fatto per decenni carte false pur di unirsi alla parte più ricca del Vecchio Continente? Vivere insieme significa dover essere pronti a dei sacrifici. Ed invece il “tutto e subito”, tipico delle culture dei Paesi usciti dall’incubo del comunismo, è un cattivo consigliere.

Un passo indietro è utile a comprendere le ragioni di questa evoluzione negativa. La posizione di partenza nel 2004, anno dell’ingresso di dieci Stati, va tenuta ben presente. Per quelli della Mitteleuropa l’adesione all’Ue è stata soprattutto una fuga da una situazione geostrategica complicata che, per troppo tempo, aveva influenzato negativamente i destini della regione. Per i balcanici, gli ultimi arrivati nel club nel 2007, è solo la speranza di un futuro economico migliore.

Mancano quasi completamente in queste società le classiche concezioni europeistiche, che hanno portato alla costruzione di ciò che abbiamo davanti. Probabilmente Bruxelles corse troppo in fretta ad abbracciare i fratelli meno fortunati dell’Est, non comprendendo a quali rischi politici si andava ad esporre.

Un po’ ovunque, nelle “Seconda Europa”, i partiti al potere hanno preso legnate sonore pagando per la grave crisi economica. Si guardi ad esempio all’Ungheria, uno dei Paesi più colpiti dalla recessione: i conservatori di “Fidesz” hanno ottenuto il 67% delle preferenze ed il partito anti-rom d’estrema destra “Jobbik” porterà ben due deputati a Strasburgo. Lo stesso numero di seggi avrà il bulgaro “Ataka”, che ha basato il suo successo sulla scelta di contrastare l’integrazione turca in Ue.

Posizioni non meno concilianti avranno gli ultranazionalisti slovacchi di SNS con un loro parlamentare. Dalla Polonia giungono notizie rassicuranti per l’Esecutivo liberale di Donald Tusk in lotta con il capo dello Stato conversatore Lech Kaczynski. Il prossimo anno i due leader regoleranno i conti in sospeso alle presidenziali. La sinistra resiste solo in Repubblica ceca ed in Lettonia, dove i comunisti riescono a far eleggere Alfreds Rubiks, per 6 anni in galera per aver tentato di rovesciare il primo governo democratico post sovietico del Paese baltico. Una riflessione è, però, urgente e le cancellerie dei Paesi fondatori, è bene, non la rimandino.

Come è possibile che in tutta Europa ci sia così tanto disinteresse per elezioni così importanti quando ormai è evidente che, al tempo della globalizzazione, il Vecchio Continente potrà dire la sua solo unendo le forze ed andando ad una vera unione politica? Nei singoli Paesi membri si guarda sempre più spesso all’Ue come alla panacea per complessi ed irrisolvibili problemi interni. Ma quali soluzioni forti possono giungere da un’Unione con rappresentanti eletti in alcuni casi da un quinto della popolazione?

Giuseppe D’Amato

Giugno 2009

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Egor Gajdar

“Questa è la più grave crisi dal tempo della grande Depressione americana”. Egor Gajdar, ex primo ministro nel ‘92-‘93 è il maggiore economista liberale del suo Paese. Una vera autorità. “Condivido – dice il padre della riforma dei prezzi nella Russia eltsiniana post sovietica – la previsione che il 2009 possa essere un anno molto pesante per l’economia internazionale”.

Secondo lei ci sarà una seria recessione per un paio di anni o addirittura qualcosa di più? Il professor Nouriel Roubini dell’Università di New York ritiene che non si può escludere una recessione sul tipo giapponese della durata di parecchi anni. “Non possono non essere d’accordo con lui anche perché il professor Roubini è uno specialista autorevole e bravo. Non si può escludere ora alcunché. Quanto questa crisi sia profonda e quanto essa possa durare sono due aspetti che sono difficili da prevedere. L’attuale crisi è completamente diversa da quelle passate dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Le crisi della seconda metà del XX secolo sono state principalmente delle reazioni dei poteri finanziari alla crescente inflazione. Quelle del XXI secolo sono state finora morbide e differente da quelle precedenti. Sono state una risposta al crack del Nasdaq e poi all’11 settembre con gli attentati terroristici a New York. La presente crisi è stata causata dai problemi dei mutui che si sono riversati successivamente sul sistema bancario”.

Parliamo adesso dell’Europa centrale ed orientale. Come si può descrivere la diversa situazione a seconda dei Paesi. Ucraina, Lettonia ed Ungheria sono una cosa, mentre in Polonia e Repubblica ceca è un’altra. “La crisi ha colpito anche l’ex spazio socialista ed in particolare l’Europa orientale come il resto del mondo. E’ più forte nei Paesi che avevano una bilancia dei pagamenti negativa. Chi ha invece radunato delle riserve valutarie più grandi, come la Russia, vive per ora una situazione migliore. Questo non significa, però, che sarà un compito facile”.

La Russia, quindi, vive una situazione migliore rispetto all’Ungheria ed all’Ucraina. “Sì. La Russia è in una posizione migliore di quella in Ungheria, Ucraina, Lettonia. Questo non significa che siamo in una situazione semplice. Come nemmeno l’Unione europea e gli Stati Uniti”.

Qualche settimana fa Lei ha dichiarato che se la Russia non compierà gravi errori potrà uscire da questa crisi senza troppi danni. A quali errori si riferiva? “Mi riferivo al rifiuto di rivedere seriamente la politica finanziaria considerando prospettive più reali in riferimento dal prezzo del petrolio. Alla necessità di un forte controllo della politica di spesa del bilancio; al rifiuto di una revisione della politica fiscale per l’abbassamento delle tasse; alle scelte per mantenere invariato il corso del rublo utilizzando le riserve valutarie. A giudicare dalle azioni intraprese il governo russo non vuole fare questi errori”.

Non le sembra che la difesa del rublo sia costata troppo: decine e decine di miliardi di dollari. Il corso della valuta russa è, comunque, pesantemente caduto. “Guardate il rapporto tra la massa monetaria e le riserve valutarie (ndr. le terze maggiori al mondo prima della crisi). E vedrete che le possibilità per controllare il corso del rublo sono più che sufficienti”.

Vuole dire, se abbiamo capito bene, che bisognava svalutare prima il rublo? “Preferisco non commentare questo tipo di affermazioni. Per ora la nostra politica monetaria ci permette di comportarci in modo tranquillo”.

Il cosiddetto ‘piano anti-crisi Putin’ ha 55 misure definite. Sono esse sufficienti? “Nessun piano è in grado di dare risposte a tutti i problemi. Bisognerebbe dare maggiore peso alle riforme istituzionali, al rafforzamento del diritto alla proprietà, alla garanzie di indipendenza del sistema giuridico. Tutto questo influenza l’atmosfera in Russia, la fuga dei capitali, gli investimenti privati”.

Alcune fonti parlano di un’imponente debito delle società private russe. 150-200 miliardi di dollari da saldare entro la fine del 2009. E se i grandi consorzi russi non potranno pagare. Cosa succederà? Lo Stato dovrà intervenire? “Toccherà loro vendere i loro attivi”.

Ma lo Stato non dovrebbe aiutare queste compagnie? “Lo Stato deve agire con estrema attenzione sugli aiuti alle compagnie, che hanno preso a prestito soldi. Lo Stato russo non li ha mai garantiti questi capitali. Queste compagnie possono utilizzare gli attivi che hanno e saldare i loro debiti”.

Il sistema bancario russo sopravviverà a questa crisi? “Sarà una prova dura. Le autorità finanziarie nazionali capiscono che le banche sono una priorità del sistema. Ritengo che alcuni istituti si troveranno in gravi difficoltà, ma in generale usciremo da questa crisi in una situazione migliore rispetto alla situazione in cui eravamo prima”.

Giuseppe D’Amato

Gennaio 2009

 Nizza. Il tiepido sole della Costa azzurra ha aiutato a scongelare i rapporti euro-russi. Il nuovo motto coniato sul Vara è “dialogo nel disaccordo e nelle differenze”. I due poli continentali hanno compreso che questo non è proprio il momento per continuare a litigare. Con il passaggio di potere alla presidenza negli Stati Uniti e con questa gravissima crisi finanziario – economica da affrontare il vento è davvero cambiato. Bruxelles e Mosca si riavvicinano. Primo: riprendono i negoziati per il rinnovo del Trattato strategico bilaterale decennale, scaduto un anno fa. Secondo: si accordano per evitare passi unilaterali in attesa – probabilmente a metà del 2009 – di una conferenza internazionale sulla sicurezza nel Vecchio continente, in America settentrionale ed in Russia. Terzo: concordano posizioni simili per il G-20 di oggi a Washington, proponendo la definizione di un’agenda precisa di impegni per giungere alla riforma delle istituzioni finanziarie mondiali. I partner statunitensi sono avvertiti: Unione europea e Russia spingono per ottenere posizioni migliori nei futuri organismi che gestiranno il globo nel XXI secolo e non si accontenteranno di semplici promesse.

 A Nizza Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell’Ue, si è sforzato di segnalare tutto ciò che unisce i due Poli continentali. “I negoziati per il Trattato decennale – ha sottolineato il capo dell’Eliseo – non sono stati congelati o fermati in estate, ma semplicemente rimandati”. Le diplomazie stanno lavorando per superare le incomprensioni sulla questione georgiana e per porre le basi per un vero confronto a Ginevra. La Russia, però, continua a riconoscere a metà l’integrità di Tbilisi, quindi senza Ossezia meridionale ed Abkhazia.

 Inattesa è la svolta in materia di architettura militare e di sicurezza. Il presidente Medvedev ha girato il coltello nella piaga, rimarcando che gli Stati Uniti si sono accordati con Varsavia e Praga per dislocare il loro Scudo spaziale in Polonia e Repubblica ceca senza che questi due nuovi membri Ue avessero avvertito o concordato a loro volta questa scelta con i Ventisette. Bruxelles avrebbe semplicemente subito decisioni altrui. Adesso, però, con la nuova Amministrazione Obama le cose sono diverse e si può tornare indietro. E’ la fine dell’unilateralismo Usa e l’inizio di un’era multilaterale.

 Il leader del Cremlino ha lasciato intendere che Mosca “reagirà”, ma non farà la prima mossa, ad esempio posizionare missili sul Baltico. Con il prezzo delle materie prime in caduta libera la Russia non può certo permettersi di tirare la corda.

 Analoghe considerazioni giungono dalla Commissione europea. Nei giorni scorsi Barroso ha invitato i membri Ue ex satelliti del Cremlino filo-Usa a mutare atteggiamento, tentando di superare i loro storici problemi irrisolti con Mosca. Strategicamente, con il Medio oriente sempre in fermento e la Cina comunque un futuro punto interrogativo, l’Unione non può permettersi il lusso di non avere buoni rapporti con il Paese che le garantisce un quarto delle forniture energetiche.

 Due ultime considerazioni. La drammatica situazione, creatasi in Caucaso in estate, ha dimostrato l’urgente necessità di una seria riforma politica dell’Ue. Senza le iniziative di mediazione di Sarkozy e le sue indubbie capacità un conflitto locale avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di molto più grave. Medvedev, invece, proseguirà nella sua linea di avvicinamento a vecchi e nuovi partner anti-occidentali.

 

Novembre 2008

 

Pare che sia successo un’altra volta. Nell’ultimo week-end di giugno la Lituania ha subito un attacco cibernetico. La denuncia giunge da fonti ufficiali. I siti del governo, dei partiti politici, di società d’affari sono stati imbrattati con falci e martello e stelle a cinque punte e da slogan irridenti anti-lituani. Gli hacker hanno assaltato 300 siti, esattamente due settimane dopo che la repubblica baltica ha messo fuorilegge tutti i simboli sovietici.

Vilnius vive un periodo di tensione con Mosca. I deputati russi della Duma hanno invitato la Lituania a non accogliere sul proprio territorio elementi del cosiddetto “Scudo spaziale” Usa. Le trattative tra Polonia e Stati Uniti presentano delle difficoltà e Vilnius ha offerto in alternativa la sua disponibilità. Il primo ministro lituano Kirkilas è andato negli Stati Uniti per incontri con il segretario di Stato Condoleezza Rice.

Nessuno osa accusare apertamente Mosca, ma le coincidenze con un simile evento avvenuto nella primavera 2007 nella vicina Estonia sono sorprendenti. Allora si registrò un sofisticato attacco cibernetico dopo che il governo di Tallinn decise di spostare la statua di bronzo al Soldato sovietico dal centro della capitale in un cimitero di periferia. Durissimi furono gli scontri per strada, con un morto, in uno dei Paesi più avanzati tecnologicamente al mondo. I danni informatici non furono affatto secondari e minori rispetto ai negozi ed alle auto incendiati. Il Cremlino negò ogni addebito, asserendo che in passato persino il suo sito era stato attaccato da hacker baltici.

Gli specialisti della Nato hanno preso sul serio l’accaduto e l’hanno studiato nei minimi particolari. L’Estonia venne messa letteralmente in ginocchio da quantità mostruose di spam (ndr. “posta-spazzatura” non richiesta e pubblicità varia) e da altri strani marchingegni informatici, alcuni “rimbalzati” da oltreoceano. Per giornate intere non funzionò più niente: l’interazione tra la vita quotidiana estone, Intenet e i computer è una delle più alte in Europa. Dopo le accuse dei primi momenti contro la Russia Tallinn ha poi fatto marcia indietro. Gli specialisti stranieri, tra i quali anche quelli dell’Ue, non sono riusciti a trovare le necessarie risposte e le prove contro Mosca.

Secondo Linnar Viik, un guru estone informatico, solo uno Stato con la collaborazione di una compagnia telefonica può compiere certe azioni. Ciò che sorprende è che a livello internazionale non esiste una legislazione su questa materia. Il progresso avanza più velocemente delle leggi.

Gli esperti lituani temono che questo ultimo attacco cibernetico non sia altro che la punta di un iceberg. “I veri criminali – sostiene Gintautas Svedas, capo della SATi, specializzata in sicurezza – cercano sempre di rimanere coperti per usare segretamente i dati della vittima”. I computer potrebbero essere quindi pieni dei temibili “cavalli di Troia” ed essere così alla mercè degli hacker, che, in qualsiasi momento, potrebbero agire. Una bella vendetta dei nostalgici di Lenin.

Giuseppe D’Amato

Estate 2008

Pan Wajda

The truth on a crime hidden for half of a century. The defeat of a perfidious fabrication based on the silence. The will to give his farewell to this unbelievable tragedy. Katyn by Andrzej Wajda summarizes all this.

Its watching is in some points simply upsetting: impressive psychological portraits are mixed with scenes from a shambles. “We have been waiting for the right moment to make a film on the massacre of Katyn. The lie and the crime, connected with this event, are well inside our national conscience,” says the great Polish director.

More than 22 thousand Polish citizens, taken prisoners in autumn 1939, were slaughtered in USSR by NKVD, Stalinist secret police, in spring 1940. For decades the Nazi were unfairly accused of this butchery. “That dreadful falsehood was one of the basis of the Polish – Soviet friendship even if there were documents, dated 1943, that stated the opposite. It was denied the obvious ”, underlines Wajda.

The relatives of the victims were frightened to accept the invitation to attend the film that  was watched by more than 3 million people only in Poland. “Many of them lived those terrible years again at the cinema and found in the film episodes from their personal tragedies”, admits Isabella Sariusz Skapska, secretary of the Association of  Families.

“For years we have been seen photos and documents of Katyn, but there wasn’t the image,” says Andrzej Wajda in his Warsaw’s school of cinema. “We needed to explain in a visual way how a tragedy like this could happen. Such terrible historical events must find their place in the art if we want them to survive in the memory. Watching the film, people understand that this is the past. There’s no aim of revenge. Our film is a kind of funeral, an attempt to close with this drama forever.”

Which sources did you use? “The documents signed by Stalin and the Politburo are well known. Our work is not a documentary film. The events in the plot are taken from the tales of the victims and of their families. They are real stories.”

You have dedicated this film to your parents. How much is it autobiographic? “It isn’t all. My father was killed in the prison in Kharkov after being in Starobelsk. My mother lived till 1950 hoping that my father were safe. There wasn’t his name on the first edited Katyn list. Only thanks to the Red Cross aid later we discovered the truth.”

You are saying that there isn’t any personal element Katyn, aren’t you? “A character that is, may be, close to my mother is Anna, Andrzej’s wife, the officer of cavalry. In the film she is played by Maja Ostaszewska. It’s the woman who gives the farewell to her husband who goes to the captivity.”

In your film you used two real historically true symbolic images: a coming down from the cross Christ with a broken arm who lies among injured prisoners under a plaid and some Soviet troops who tear out the Polish flag. “It wasn’t necessary to have many. We used also some pieces from the original German and Soviet propaganda films of that period. We didn’t touch them, because this is the best way to show the manipulation of the truth. The event is the same, but the remarks are different. At the end of the film we added from the literature another symbol, that is the history of Antigon. A girl cuts her hair to defend the memory of her brother who dies fighting for his right to state that his father was killed by the Soviets.”

In your opinion, what did the Soviet  executioners think doing their dirty work? “There are documents with their number and names. NKVD’s killers slaughtered a victim after another. They did it mechanically without thinking. It’s impossible to carry out certain orders in another way. Every day they had to murder a hundred of Polish prisoners. From April 5th to the beginning of June 22 thousand people from 3 camps were killed. The most incredible thing is that even the Soviet executioners were later killed, because they became dangerous eyewitnesses.”

Is that of Katyn a crime of communism or of a totalitarian system? “The communism was a totalitarian system. Soviet Russia was a totalitarian State. This is a crime against humanity, one of the biggest reason of today’s bad relationship between Warsaw and Moscow. The Russians speak about Katyn as a tragedy provoked by the situation. We were enemies in war. The Poles respond it wasn’t necessary to kill all those people.”

Moscow’s newspaper Rossiiskaya Gazeta harshly criticized your film arguing that you didn’t use trustworthy sources. “It is not true. The documents are clear. The Germans discovered the mass graves and they analysed them in 1943. When the Polish prisoners were killed those regions were in Soviet hands. Berja and Central Committee’s documents with Stalin’s signature were delivered to President Lech Walesa in the Nineties. The rest was found in victims’ pockets. There are detailed notes, where everything is written. For example, from Adam Solski’s diary ‘we got on a truck at 6 in the morning. Who knows what’s going to happen?’ In the film we used this historical testimony.”

What was the most difficult thing to do in this film? “It was the decision to make the film. But, then, how to play it? How and what to tell? The killed soldiers’ stories? The women’ ones? Which historical period should we choose? We had to select the material. A film like this one must last no more than two hours. Was it better to decide for the story of one family or of more people? I chose to have more characters to use more memories and to be more free in the plot.”

Your film was shown in Moscow only twice at the mid of March: in the House of Cinema and in the House of Literature. There are serious problems. Katyn goes against common Russian belief of their history. “We have contacts with the human rights society Memorial. We are looking for fearless people who want to distribute our film.”

From your point of view, is this the time for the penitent of the Russians, as heirs of Soviet Union, and for Polish forgiveness? “The film was made with this idea. Russians made important steps ahead with the delivery of the documents during Mr. Gorbacev and Yeltsin Presidencies. May be, we should have made Katyn ten years ago. But this is art! The only thing I don’t want now is the political manipulation of our film.”

Personally, as a practicing Catholic, do you forgive your father’s killers? Mr. Wajda turns his face on his right side. He keeps silent for long endless seconds when we regret for this necessary question. Then, the great Polish director frowns and answers with a trembling voice. His eyes have become watery all of a sudden. “The Russians must face their own past. They must stop with their tales about their history full of glory and with their speeches on ideal systems. They should follow the example of Solgenitsin and of  Memorial. Here, we are not speaking about the forgiveness of one person, but of the entire Polish society. After the end of World War II Polish bishops wrote a letter to the German episcopate. They pardoned German people, because they saw convincing steps from the other side. You may forgive when the others recognize their sins.”

Giuseppe D’Amato

March 24th, 2008

 

See also Katyn. The end of a shame? EuropaRussia April 7th, 2010.

 

 

 

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