History Culture


 В Латвии прошел День памяти легионеров Waffen SS. По центру Риги маршем прошли бывшие эсэсовцы. Они получили законное право пройти по городу и возложить цветы к памятнику Свободы. При этом они могли рассчитывать на то, что полиция обеспечит им безопасность. Так шествие бывших членов латышского легиона Ваффен СС и их молодых почитателей из числа националистов проходило под охраной двойных кордонов полиции. По традиции, поджидали антифашисты. Но на этот раз обошлось без столкновений. Такое ежегодное противостояние в столице Латвии связано с крайне неоднозначной исторической датой. 16 марта 1944 года 15-я и 19-я латышские дивизии германских войсковых СС на Волховском фронте впервые вступили в бой с частями Красной армии.

Николай Сурков – НГ

Статья 

khrushev3 Una grande mostra fotografica per far rivivere l’atmosfera di speranze e di contraddizioni del “Disgelopost-staliniano. Mai come adesso alla piazza del Maneggio, sotto al Cremlino, i russi hanno potuto apprezzare immagini storiche ed inedite di Nikita Krusciov e del suo tempo, miscelate con una sapiente regia.

 Calvo, tarchiato, famoso per la sua semplicità – che spesso sconfinava in vera rozzezza come quando sbatté una scarpa sul tavolo mentre parlava dal palco delle Nazioni Unite – il leader comunista è ritratto in occasioni ufficiali ed in quelle familiari. “Era certamente fotogenico – afferma in un filmato che ha presentato l’evento culturale, Viktor Achlomov, specialista negli anni Sessanta per il quotidiano ‘Izvestija’ ed autore di alcuni degli scatti in mostra -. Krusciov era come una macchina che si dava energia da sola. Non era importante come lo fotografavi. Lui veniva sempre bene”.

 Il visitatore è colpito dalla disposizione a “m” dell’esibizione, dove la prima e la terza fila ripropongono momenti della vita del protagonista ed in quella centrale si celebra il gotha della cultura tra il 1956 ed il 1964, tra cui Gina Lollobrigida durante una sua visita a Mosca. In una minuta saletta laterale il pubblico ha anche la possibilità di assistere alla proiezione continua dei capolavori cinematografici sovietici dell’epoca.

 Succeduto a Stalin, morto il 5 marzo 1953, Nikita Krusciov vinse la battaglia per la successione. Nel febbraio ’56 denunciò i gravissimi crimini contro l’umanità perpetuati dal “padre dei popoli”, favorendo una breve boccata di libertà, conclusosi con la sua deposizione e sostituzione con Leonid Breznev nell’ottobre ‘64.

 Il suo fu un periodo controverso in cui i prigionieri politici tornarono dai gulag, venendo spesso riconosciuti come innocenti, ma furono represse nel sangue rivolte come a Budapest nel ’56 o a Novocerkassk nel ’62. Lo scambio di visite ufficiali con gli americani non evitò la crisi dei missili sovietici a Cuba con il mondo sull’orlo dell’Apocalisse. L’Urss aprì una piccola porta e si mostrò timidamente alla comunità internazionale con l’organizzazione di festival della gioventù o del cinema. La sua nazionale di calcio vinse i primi campionati europei nel ’60.

 Gigantesca è la prima fotografia (unica a colori), in cui ci si imbatte all’ingresso, con Krusciov in compagnia del leader jugolavo Tito che guardano insieme la campagna. Poi ne seguono tre o quattro in cui si ritraggono Jurij Gagarin e la sua incredibile impresa. L’Urss era riuscita, precedendo gli Stati Uniti, a mandare un uomo nello spazio nel 1961. Subito dopo vengono gli scatti di gioventù dall’archivio familiare e quelli in cui si raccontano i primi passi della carriera politica negli anni Trenta.

 Durante la Guerra Krusciov è responsabile politico a Stalingrado e partecipa alla liberazione del Paese. Quindi la scomparsa di Stalin ed il Ventesimo congresso del partito comunista. Le fotografie con i giovanissimi Fidel Castro e John Fitzgerald Kennedy mostrano ancor di più la differenza d’età e di spessore culturale tra Krusciov ed i suoi interlocutori d’oltreoceano. Ad un certo punto, si vede il leader comunista passeggiare da solo in un campo di grano, sua croce e delizia, dopo il viaggio americano. Quindi il declino, con scatti in cui l’ex amico Breznev compare sempre più minaccioso alle sue spalle fino alla sostituzione ed il lungo soggiorno agli arresti in una dacia fuori la capitale.

 La grande affluenza di pubblico, anziano e meno, ha sancito il successo di questa iniziativa. E’ stata riproposta una pagina di verità dopo le falsità circolate durante la stagnazione brezneviana. I russi, sempre alle prese con opposte interpretazioni del loro complesso passato recente, paiono averla apprezzata.
 Giuseppe D’Amato

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Фонд Горбачева начал отмечать 25-летие перестройки презентацией доклада “Прорыв к свободе и демократии”.

Михаил Зубов MK – 5.03.2010 

статья

 Baltico meridionale. Poco dopo le 21. La radio ha appena finito di trasmettere il discorso di Adolf Hitler in occasione delle celebrazioni per il 12esimo anniversario della presa del potere da parte dei nazisti. Il vento è gelido, i ponti ghiacciati, l’umidità entra nelle ossa. La temperatura è di circa una decina di gradi sotto zero.

 La Wilhelm Gustloff ha lasciato il porto di Gdynia (Gotenhafen) – non lontano da Danzica – da una manciata d’ore, il 30 gennaio ‘45. A bordo ha 10.582 persone, quasi tutti profughi o feriti. La Germania sta mettendo in atto la maggiore evacuazione navale della storia, con l’obiettivo, poi raggiunto, di portare in salvo due milioni di connazionali, in fuga dalla Prussia orientale. L’avanzata dell’Armata rossa è ormai inarrestabile. Secondo alcune voci, risultate successivamente non vere, sul bastimento è stata caricata anche la famosa Sala d’ambra, dono di Federico Guglielmo I a Pietro il Grande nel 1716.

 Rose Petreus è insieme alla sorella Ursula. Sono originarie di un villaggio, oggi in territorio lituano. “Dove la nave fosse diretta – ricorda la donna – nessuno lo sapeva”. La gente era stivata ovunque. Salire sulla Gustloff, orgoglio della Marina civile del Reich, non era stato facile. La ressa in porto era impressionante, la fila enorme. A tutti i passeggeri era stato distribuito un giubbotto di salvataggio.

 Aleksandr Marinesko è il capitano di un sottomarino sovietico S-13. Ha pessimi rapporti con i suoi superiori. Ha ricevuto l’ordine di controllare le coste dell’attuale Lituania. L’ufficiale sovietico, non si sa perché, si è spinto parecchie decine di chilometri più a sud. All’improvviso dal suo periscopio scorge in lontananza l’ombra di un gigantesco naviglio con alcune luci accese.

 I quattro comandanti tedeschi discutono a lungo sulla rotta da tenere. Sono, però, concordi che la scorta sia insufficiente. La luna dà un tocco di romanticismo ad una notte di paura, mentre tenui fiocchi di neve scendono lentamente dal cielo plumbeo. Viene scelto il canale 58.

 208 metri di lunghezza per svariate migliaia di tonnellate, la Gustloff era stata costruita nel 1937 per essere una ammiraglia, e di superlusso. Ad un certo punto sembrò dovesse addirittura prendere il nome di Adolf Hitler, ma poi il Fuhrer, quasi per scaramanzia, la fece dedicare ad un “martire” del nazismo, ucciso da un ebreo in Svizzera. Dopo il settembre ‘39 la nave assume la funzione di ospedale galleggiante e di mezzo da trasporto truppa nel Baltico.

 I passeggeri si preparano a passare in qualche modo la notte, quando all’improvviso si ode un colpo sordo. Il primo pensiero è di aver urtato una mina o un grosso corpo metallico. Ma non è così. Dopo lunghi minuti di osservazione Marinesko ha sparato 3 siluri. Un quarto con sopra la scritta “per Stalin” è rimasto bloccato nella camera di lancio. “Il secondo colpo fu fortissimo”, rammenta Rose. A bordo scoppia il panico. Dopo poco il terzo siluro colpisce il bersaglio e la Gustloff si inclina su un fianco di 40 gradi. “La gente si mise a correre verso i ponti più alti. Molte persone furono calpestate”, aggiunge Rose. Gli ufficiali lanciano segnali luminosi e gli SOS. Gran parte delle scialuppe non si riescono a calare in mare poiché le carrucole sono ghiacciate.

 “Si udirono parecchi colpi di pistola – scrive nelle sue memorie uno dei dottori di bordo Hans Rittner -. Tanti furono i suicidi. La nave emetteva suoni sinistri. Spaventosi erano gli scricchiolii. Le donne urlavano, i bambini piangevano”. Migliaia di persone sono intrappolate all’interno delle cabine e dei saloni inferiori. I più fortunati si gettano in acqua. I flutti si riempiono in un attimo di disperati con indosso i giubbotti di salvataggio. Alcuni di questi sono troppo grandi per i bambini, molti dei quali galleggiano con le gambe all’insù.

 L’agonia della Gustloff dura quasi 50 minuti. Poi l’ammiraglia, dopo essersi spezzata in tre tronconi, si inabissa, alzando onde altissime. 1239 persone (tra cui Rose e la sorella) vengono salvate dalle navi di soccorso, 9343 sono i morti. E’ la catastrofe marittima più grave della storia, ma anche la meno conosciuta, a differenza dei drammi del Titanic, dell’Andrea Doria o del Lusitania.

 La Germania nazista non ha interesse a divulgare la notizia, gli alleati nemmeno per le ingenti perdite fra i civili. Gli aggressori, dopo tutto, sono le vittime e non i carnefici. Nel 1955 viene prodotto dai tedeschi un film che non riscuote grossi esiti. Il capitano Marinesko finisce in un gulag a conclusione della guerra. Otterrà dei riconoscimenti solo nell’ottobre ’63, tre mesi prima di morire. Gorbaciov gli conferirà postumo il titolo di “eroe dell’Unione Sovietica”.

 Il premio Nobel ’99 per la letteratura, Günter Grass, rompe il silenzio ad inizio secolo col romanzo Il Passo del Gambero. Per lo scrittore originario di Danzica la memoria va recuperata e questo è venuto il momento di farlo. La destra xenofoba e nazista è capace di manipolare il passato solo per supportare la sua ideologia. 

 Con le celebrazioni del ventesimo anniversario del crollo del Muro di Berlino si registra un timido cambiamento nell’approccio dei tedeschi verso la storia recente. Il senso di colpa collettivo per i crimini dei nazisti e l’obbligo di ricordare quei spaventosi delitti sono pian pianino affiancati dalla soddisfazione per i risultati ottenuti nel dopoguerra dalla Germania, una democrazia fondata sui valori costituzionali, che ha saputo creare prosperità e progresso. Una gestione sapiente di argomenti storici così complicati e dolorosi, come quelli in cui i tedeschi sono le vittime, rappresenta una necessità inderogabile davanti alle future generazioni europee.

 Giuseppe D’Amato

 

 Warriors of Ukrainian nationalists OUN-UPA are now officially considered fighters for Ukraine’s independence. The decision was taken by outgoing president Viktor Yushchenko, who issued a decree. Some days earlier the Ukrainian leader awarded the honorary title of national hero to Stepan Bandera, one the most divisive figures of Ukraine’s 20th century history. This new status, Yushchenko said, “had been awaited by millions of Ukrainian patriots for many years” and was a fitting reward for his “demonstration of heroism and self-sacrifice in fighting for an independent Ukraine”.

 Bandera is regarded as a hero in nationalist western regions of the country, which looks more to the West for inspiration. But the Russian-speaking East, which has historical links with Moscow, views him as a Nazi collaborator and a war criminal. During the WWII millions of Ukrainians (from 5 to 7) fought within the Red Army and few hundred thousands, mainly from the regions of Galicia and Volhynia, joined the Germans, hoping in a future independence, that was actually never promised by Berlin.  

 Bandera was the leader of the Organization of Ukrainian Nationalists (OUN), a pro-independence guerrilla movement that briefly allied with Nazi Germany during the invasion of the Soviet Union in 1941. The alliance was short-lived. Bandera was soon arrested and interned in a concentration camp in Sachsenhausen. His followers carried out partisan operations against the German occupiers, but when the Germans finally retreated, the OUN continued the fight against the Soviets. Bandera was assassinated by a KGB agent in Munich in 1959.

 Moscow is furious that Mr Yushchenko made these steps.  A legal action demanding the recognition of Stepan Bandera as a Nazi criminal, guilty of the genocide of Poles, is being prepared in Poland, a representative of the Russian Union of Former Minor Prisoners of Nazi Concentration Camps told. In Rabbi Berl Lazar’s opinion Yushchenko’s decision  promotes a “false and distorted” view of the activities of his OUN. The Simon Wiesenthal Centre highlighted in a statement that Stepan Bandera and his followers were linked to the deaths of thousands of Jews. Mark Weitzman, the centre’s government affairs director, thinks that it was a travesty to grant the honour to Bandera as the world paused “to remember the victims of the Holocaust on Jan. 27.” Simon Wiesenthal lived in Lviv many years and was acquainted with the OUN activity. They brutally murdered hundreds of thousands of Jews, Poles, Russians and Ukrainians.

 Ukraine will choose Yushchenko’s successor on February 7th. Viktor Yanukovich and Yulia Tymoshenko, are competing for voters on both sides of the county’s East-West divide. Both candidate at the run-off avoided any comment fearing to alienate some section of the population. The posthumous honour for Bandera will be seen as a last ditch attempt by Yushchenko to sabotage his successor and stick a middle finger up at Kremlin. In 2007 he similarly honoured Roman Shukhevich, a no-less controversial contemporary and comrade of Bandera.

 “It’s up to the people to decide whether Stepan Bandera deserves the hero title or not. But the president shouldn’t escalate through his action the confrontation between the older and younger generations, and between the country’s east and west. That we don’t know the true history of Bandera’s activity is a fact. But the president should always act wisely,” the first Ukrainian post Soviet independent president Leonid Kravchuk said.

 When politicians start dealing with history a big damage is always made to their countries. The historical truth can be established only by independent professional historians and not decided under the pressure of the moment or of different interests. These issues are often used to cover other more tough problems.

Giuseppe D’Amato

Как это было 20 лет назад

– Независимая Газета – 09.11.1989

 

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Mosca, 23 agosto 1939

Prove di dialogo tra russi e polacchi. Vladimir Putin propone un percorso di avvicinamento simile a quello realizzato da francesi e tedeschi, la cui riconciliazione ha posto le fondamenta per la costituzione dell’Unione europea. I due popoli slavi sono divisi da secoli di incomprensioni e guerre. E’ venuto il momento, secondo il primo ministro russo, di voltare pagina.

Per prima cosa Mosca e Varsavia hanno costituito una commissione mista di storici con il compito di analizzare le troppe differenze esistenti. La “memoria” nella “nuova Europa”, ex satellite del Cremlino, ed in Russia non ha ancora seguito quell’evoluzione dolorosa maturata nelle libere democrazie occidentali tra il 1945 ed il crollo del Muro di Berlino. I vari politici della regione si ritrovano, pertanto, oggi davanti a scogli insormontabili.

Il patto Ribbentrop–Molotov fu un “atto immorale – ha dichiarato Putin -. Tuttavia, l’Urss era rimasta sola, a tu per tu, con la Germania, poiché gli occidentali si rifiutarono di costituire un unico sistema di difesa collettivo”. Per l’ex presidente l’intesa di Monaco di Baviera, sancita pochi mesi prima nel settembre 1938 tra le democrazie europee ed Hitler, aveva scompaginato le fila dei nemici del nazismo ed aveva “portato sfiducia e sospetto”. Francia e Gran Bretagna spingevano il pericolo tedesco “verso Est”.

Ma è il tragico capitolo dell’eccidio di Katyn – 22mila polacchi massacrati dalla polizia segreta di Stalin nel 1940 – ad avvelenare i rapporti bilaterali e di riflesso raffreddare quelli europei col Cremlino. Mosca ha ammesso sì dopo cinque decenni le sue responsabilità, ma ha consegnato solo in parte la documentazione a propria disposizione – 67 tomi su 183 – per “ragioni di segretezza”. Putin, seduto affianco del collega polacco Tusk, ha chiesto ieri uguale possibilità d’ingresso negli archivi. Mosca vuole conosce la sorte dei propri 94mila militari, fatti prigionieri da Varsavia nel 1920.

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Katyn

La storia dell’Europa centro-orientale nel XX secolo è una terribile sequenza di eventi sanguinosi. Chi più ne ha più ne metta. La mossa russa di voler finalmente discutere del passato serve ora a riaprire un qualche dialogo con i Paesi ex satelliti, dove la revisione impazza. In Ucraina, ad esempio, numerosi sono i monumenti eretti dedicati ad “eroi” nazionali macchiatisi di crimini efferati, spesso insieme alle SS naziste.

Le falsificazioni sono un pericolo reale e certe libere interpretazioni, che stravolgono verità provate, sono da troppo tempo utilizzate in chiave anti-russa. Il Cremlino se n’è reso conto. Interessante è la contemporanea pubblicazione, per la prima volta, da parte del controspionaggio russo SVR dei documenti sulla politica polacca tra il ’35 ed il ’45. Varsavia, allora, tentava di destabilizzare l’Ucraina ed il Caucaso. Sarà un ennesimo episodio di “disinformatsija”, in cui i russi sono maestri?

Per le scelte di Putin sono positivi i commenti di politici e mass media polacchi. “Una cosa saggia che avrà ripercussioni sui rapporti mondiali”, ha sottolineato l’ex premier Miller, conscio che la Polonia aveva offerto sul suo territorio siti per lo Scudo spaziale Usa in Europa.

La “nuova pagina”, a cui si riferiva Putin, si chiama mutua ricchezza. Mentre politici e storici infiammavano le proprie opinione pubbliche gli imprenditori hanno fatto in questi anni affari d’oro. L’interscambio tra russi e polacchi letteralmente vola!

Giuseppe D’Amato

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Today in Warsaw

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In silenzio, in ammirazione. Una donna fissa per lunghi minuti “La Sacra famiglia” di Andrea Mantegna. La mostra sul Rinascimento italiano è l’evento clou dell’anno al museo capitolino Pushkin. Un fiume di gente, soprattutto giovani, riempie le sale quasi tutti i giorni, ma nei fine settimana le file si allungano. La luce fioca cade sul quadro del maestro veneto in un ambiente sostanzialmente buio. Lo sfondo rosso delle pareti contribuisce a rendere l’atmosfera unica.

Il quadro del Mantegna era atteso con impazienza, poiché non vi sono sue opere nei musei russi. Particolare il destino di questo capolavoro. Dal 1945 al ’55 fu conservato proprio al Pushkin. Qualche mese prima di riconsegnarlo ai legittimi proprietari del museo di Dresda i russi organizzarono una mostra durata 5 mesi. “Ben 1,2 di visitatori – ricorda l’attuale direttrice del Pushkin Irina Antonova – vennero a vedere i tesori che sarebbero stati restituiti ai tedeschi”.

Ecco, quindi, in parte spiegata la grande attesa per godersi dal vivo questo capolavoro in olio della fine del quindicesimo secolo. Sue gigantografie capeggiano all’entrata di una delle gallerie più importanti del mondo. Alla biglietteria non si parla d’altro. Qualcuno sale di corsa una ripida scalinata di marmo, mettendo a dura prova il proprio fiato. Subito dopo lo stacco del tagliando d’ingresso il visitatore resta senza parole. La sala con il capolavoro è giusto di fronte, a qualche decina di metri, con quella saggia luce che illumina la meraviglia del Mantegna.

Farsi largo fra i tanti presenti e guadagnarsi una buona posizione d’osservazione non è facile. Bisogna attendere una manciata di minuti, rischiando qualche inavvertita spallata.

Il bambino in primo piano attrae subito l’attenzione. Il gioco dei colori lo mette ancor più in risalto rispetto alla sua naturale centralità nella rappresentazione. Ma tutte le figure, proposte su uno sfondo nero astratto, sono assolutamente a sé stanti. Il maestro veneto ottiene la concentrazione assoluta sull’uomo, che, come viene evidenziato dagli organizzatori della mostra, “è il maggior Dio dell’epoca del Rinascimento”. La tragica tensione di Giuseppe, la silenziosa pacatezza davanti alla sofferenza di Elisabetta (la madre di Giovanni Battista), il conquistante sentimento materno di Maria e la tranquillità infantile del Cristo, asseriscono i critici del Pushkin, non hanno analoghi nell’arte del suo tempo.

Mantegna (1461 – 1506) viene considerato il più “tragico e coraggioso” artista del primo Rinascimento italiano. Il suo amore per la civiltà latina è palese anche in questo capolavoro: il viso di San Giuseppe si avvicina a quello dei ritratti eroici sculturei del periodo della repubblica romana. I colori utilizzati creano un’espressione speciale di sentimento: solennità, gloria, ma anche dolore. Il restauro nel 2001 al J.Paul Getty Museum di Los Angeles ha davvero riconsegnato al capolavoro del maestro veneto tutte le sue splendide caratteristiche originali. Un fine vetro lo difende da flash fotografici e possibili attentatori.

Intorno al “La Sacra famiglia” sono posizionate opere di altri artisti rinascimentali quali ad esempio di Simone Martini, Dosso Dossi, Veronese, Vasari, Perugino. E’ un semplice assaggio che lascia comprendere la grandezza del Rinascimento italiano. I visitatori si accalcano anche intorno a queste bellezze alla ricerca del segreto di tali meraviglie.

L’amore dei russi per l’arte è un sentimento da sempre conosciuto. La collaborazione con gemelle istituzioni internazionali rende possibile l’organizzazione di mostre di così alto valore. In autunno il “Pushkin” si sdebiterà inviando un proprio capolavoro alla “Gemaldegalerie” di Dresda. La scelta è caduta su “La Sacra Famiglia e San Giovannino”, una tempera su tavola di Agnolo Bronzino. Il Rinascimento italiano impazza proprio nei musei di mezza Europa.

Primavera – Estate 2009

cattedrale ortodossaLa ruota della storia, a volte, torna indietro. Presto la Chiesa ortodossa russa potrebbe rientrare in possesso di quasi tutte le sue proprietà confiscate dai bolscevichi dopo la Rivoluzione d’ottobre del 1917. Questo almeno prevede un controverso progetto di legge (pdl) del ministero dello Sviluppo economico, in discussione in marzo, scovato dall’autorevole quotidiano finanziario “Kommersant”. Il governo intende disfarsi di beni che gravano pesantemente sul bilancio dello Stato.

Se l’operazione andrà in porto la Chiesa ortodossa diventerà, come ai tempi dello zar, il più grande proprietario mobiliare ed immobiliare del Paese, rivaleggiando in ricchezza con la Gazprom e la Società ferroviaria (RzhD).

Secondo alcuni osservatori la crisi economica produce, oggi, perlomeno un atto di giustizia storica. Ma le opinioni sono le più diverse ed in aula alla Duma i deputati, soprattutto quelli comunisti, potrebbero dare battaglia. L’onorevole Vladimir Kashin del Pc giudica questa mossa dell’Esecutivo come un tentativo del duo Medvedev-Putin di riconquistare la fiducia popolare, che vacilla davanti alla crisi. Il presidente ed il premier sono notoriamente ortodossi praticanti. La moglie dell’attuale leader russo, Svetlana, è stata in passato impegnata affianco delle gerarchie ecclesiastiche in numerosi progetti sociali.

La Chiesa ortodossa non se la passa, comunque, affatto male. Attualmente possiede 478 monasteri ortodossi, 13.000 tra chiese e cattedrali, 16.000 parrocchie, 4.696 scuole di catechismo. Nella sola Mosca, dove i prezzi al metro quadro rimangono alle stelle nonostante la recessione, potrebbe aspirare a 600 siti che vanno da 300 metri quadri ad oltre 10 ettari, con edifici fino a 50mila mq. Si calcola che il valore di questi beni immobili si aggiri sui 50 miliardi di dollari. Se si considerano anche i terreni nella capitale gli zeri si moltiplicano in maniera incredibile.

A godere di questa legge dovrebbero essere anche le altre confessioni ufficiali: musulmani, ebrei, buddisti, cattolici.

Dopo il crollo dell’Urss le prime restituzioni di beni religiosi avvennero grazie ad un decreto di Boris Eltsin nell’aprile 1993. Seguì una legge del Parlamento nel settembre 2004. La più clamorosa disputa tra autorità religiose ed enti statali, finita nelle aule giudiziarie, si registrò per un edificio dell’Università Statale Umanistica a pochi passi dal Cremlino.  Dopo il periodo sovietico Stato e Chiesa in Russia hanno nuovamente stretto la tradizionale alleanza. Questo pdl è il definitivo suggello.

Febbraio 2009

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L’uomo del dissenso, il nemico “numero uno” del potere comunista in Patria e poi lontano tra le montagne degli Stati Uniti. Aleksandr Solgenitsin era un matematico “sui generis”, datosi fin da giovane, anima e corpo, alla letteratura. Era l’anti-sistema per antonomasia, colui che mise a nudo le nefandezze del comunismo.  “Io volevo difendere le tradizioni russe contro l’uniformismo del socialismo”, disse una volta in un’intervista.

Credente ortodosso, criticato perché considerato a torto un anti-semita, Solgenitsin è una persona che ha pagato duramente per la libertà del suo pensiero: otto anni nei campi di lavoro forzato tra il 1945 ed il 1953 e venti in esilio dopo essere stato cacciato con ignomia dall’Urss nel 1974.

Sono principalmente due i capolavori, che gli fecero acquistare fama mondiale: Una giornata nella vita di Ivan Denisovich, uscita sulla rivista “Novyj Mir” nel 1962, ed Arcipelago Gulag edito in tre volumi del 1973.

Nella prima, pubblicata durante il periodo chruscioviano, l’Occidente scoprì l’orrore del sistema sovietico dei campi di lavoro, da cui passarono milioni di persone. Le descrizioni di Solgenitsin sono terribilmente reali e non lasciano dubbi sulle tragedie raccontate. Per scrivere sulla medesima tematica la sua successiva opera, tradotta in 34 lingue ed edita prima in Occidente e vietata in Patria, l’autore intervistò ben 227 sopravvissuti ai gulag. Le loro identità restarono per anni segrete. Arcipelago gulag è un insieme di fatti storici, autobiografici con testimonianze di vario genere, un documento di accusa drammatico, che gli valse l’esilio. Solgenitsin, allora, aveva già ottenuto il Premio Nobel nel 1970. Il potere sovietico se ne infischiò dello scandalo internazionale che provocò la cacciata dello scomodo scrittore, che tornò in Patria solo nel maggio 1994 per iniziare subito una nuova crociata contro l’oligarchia, la speculazione imperante, la corruzione, insomma contro i mali della Russia post sovietica.

Importanti sono le prese di posizioni di Solgenitsin sulla storia nazionale. Non era vero – sosteneva lo scrittore in pieno contrasto con il mondo scientifico – che la Rivoluzione del 1917, che poi portò ad un sistema totalitario, aveva legami o origine nella cultura zarista di Ivan il Terribile e Pietro il grande. La Russia imperiale non praticava la censura, la polizia segreta era presente solo in tre grandi città ed il potere non era così violento contro la propria gente. L’Urss aveva oppresso la cultura russa in favore di quella atea sovietica. Il nazionalismo russo e la Chiesa ortodossa, quindi, non devono essere considerati oggi in Occidente come una minaccia bensì come un elemento positivo. Da qui, nei primi anni di questo secolo, l’avvicinamento a Vladimir Putin, ex agente del detestato Kgb. La soluzione migliore per il dopo Urss era la creazione di un’entità statale che unisse i tre popoli slavi orientali fratelli: russo, ucraino e bielorusso.

“La morte – ha sottolineato Solgenitsin in una delle sue rarissime interviste – è una naturale pietra miliare, che non segna la fine dell’esistenza di una personalità”. Si può star certi che un posto nell’Olimpo dei Grandi del XX secolo questo matematico, prestato alla letteratura, se l’è certamente guadagnato.

Giuseppe D’Amato

Agosto 2008

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