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 Il sogno di Dmitrij Medvedev è di diventare mediatore ufficiale nella crisi libica, ottenendo una definitiva consacrazione a livello internazionale come politico di prima grandezza. Per troppo tempo il giovane capo del Cremlino è stato visto come un “protege” del potentissimo Vladimir Putin. Con la campagna elettorale per le presidenziali del marzo 2012 alle porte l’occasione libica è davvero ghiotta. Medvedev ha ricordato al mondo i buoni rapporti di Mosca con il mondo arabo e non ha escluso che un qualche tentativo diplomatico possa essere presto fatto. Non è un caso che il ministro degli Esteri Serghej Lavrov sia stato per consultazioni al Cairo, dove si è tenuto un incontro tra il segretario dell’Onu Ban Ki Moon ed il responsabile della Lega araba, l’egiziano Moussa. 
 Il capo del Cremlino è intervenuto in prima persona alla televisione soprattutto per scopi di politica interna e per fare chiarezza dopo un imprevisto scambio di battute pepate a distanza con Putin. La Russia, ha spiegato Medvedev, non ha usato il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poiché condivide le ragioni della risoluzione 1973. Le autorità libiche sono responsabili della situazione creatasi, tutto il resto è una sua conseguenza. Il presidente ha, tuttavia, immediatamente rimarcato che l’uso della forza dovrebbe essere “proporzionato” a quello che accade, invece la coalizione occidentale ha causato perdite anche tra gli innocenti. Non siamo all’equidistanza di un arbitro, ma spezzare una lancia per l’isolata Tripoli è ora francamente impossibile. 
 Quante possibilità vi siano che parta realmente una mediazione russa al momento non si capisce, come non si comprende quante possano essere le chance di successo. Il Cremlino ha storicamente ottime relazioni con la Siria, ma oggi appare spiazzata in nord Africa con tutte queste rivoluzioni. Medvedev ha già evidenziato che il problema centrale è trovare gli interlocutori giusti per una qualche trattativa, poiché i “partner” occidentali si sono mossi in ordine sparso, mentre nessuno a livello internazionale ha intenzione di avere rapporti con Gheddafi. 
 Quest’ultimo, però, prima dell’approvazione della risoluzione Onu aveva promesso disperatamente a russi, cinesi ed indiani importanti fette del settore petrolifero al posto delle compagnie dei Paesi oggi nemici. Mosca è legata a Tripoli da imponenti commesse militari, ma solo recentemente, grazie all’aiuto italiano, è entrata nel business petrolifero. 
 Pesanti erano state in precedenza le critiche di Putin alla risoluzione Onu, che in verità permette quasi qualsiasi opzione ed è, secondo il premier, “un invito medievale ad una crociata”. Ma la politica estera è ad appannaggio del presidente e per la prima volta i due amici-colleghi dissentono pubblicamente, segno che le scadenze elettorali si stanno avvicinando inesorabilmente. Medvedev, che teme di veder compromessi i suoi sforzi di modernizzazione del Paese con tecnologia occidentale, ha chiarito ai russi che il ministero degli Esteri ha agito su sue dirette indicazioni. 
 Che la gestione della crisi libica divida la “Mosca che conta” è apparso evidente sabato 19 dal clamoroso licenziamento in tronco del proprio ambasciatore a Tripoli, Vladimir Chanov, voluta dal presidente in persona. Putin, che è stato invitato dal vice-presidente Usa Biden a non ripresentarsi candidato, sta riproponendo ai suoi elettori l’immagine del leader russo, che non si fida dell’Occidente spesso traditore. Medvedev gioca, dal canto suo, una partita rischiosa e finora quasi sempre perdente in Russia. Se dovesse essere marginalizzato dai “partner” rischierebbe la rielezione. 
 Trovate il modo di partecipare militarmente anche voi, ha detto in un discorso all’Ammiragliato di San Pietroburgo il ministro della Difesa Usa Robert Gates. Ma Medvedev gli ha già risposto indirettamente: “niet! Spasibo!”

Trentuno pagine inviate alla Commissione per la difesa dei diritti umani dell’Onu sulle violazioni in Bielorussia dopo le presidenziali del dicembre 2010. “Serve – ha detto Anna Sevortian, direttrice della filiale russa di Human Rights Watch, – una risoluzione della Nazioni Unite per mandare un messaggio forte alle autorità di Minsk. Quello che sta avvenendo deve finire”.
Domenica 19 dicembre 2010 scesero per le strade a protestare contro l’annunciata vittoria del presidente Lukashenko, circa 30mila persone, Migliaia di loro, tra cui 7 candidati, vennero fermate dalla polizia. 725 hanno subito condanne da 10 a 15 giorni di prigione, altri a pene detentive più lunghe. “Molti – denuncia Human Rights Watch – sono stati costretti a dormire per terra o a fare i turni per un letto. Le celle erano sovraffollate, alcune senza bagni. Vi sono stati casi in cui gli imputati non hanno usufruito della difesa”.
Ales Mikhalevich, anche lui ex candidato alla presidenza, ha lasciato il Paese in questi giorni e si trova in una località segreta. Ha denunciato di essere rimasto nelle mani della polizia segreta per due mesi. La Russia osserva sorpresa gli eventi, facendo prevalere valutazioni di carattere economico e geopolitico mentre alcuni suoi cittadini sono detenuti a Minsk. Unione europea e Stati Uniti preparano nuove sanzioni contro Lukashenko e la sua Amministrazione, che invero in Patria rimangono popolari per aver garantito un passaggio non caotico dal comunismo al mercato dopo il crollo dell’Urss.
Alcune considerazioni e domande sono d’obbligo: 1) in Bielorussia siamo alle solite, quindi niente di nuovo rispetto agli anni passati; 2) come è possibile che la comunità internazionale prenda decisioni così spuntate contro violazioni così evidenti ai diritti politici di manifestare? 3) Dopo i fallimenti nei rapporti bilaterali nel tentativo di ingraziarsi il suscettibile Lukashenko cosa altro può fare la diplomazia?

 La Russia proprio non si aspettava un “1989” in Africa settentrionale. I vetusti regimi autoritari della regione scricchiolavano da tempo, ma nessuno si azzardava nemmeno ad ipotizzare che cadessero uno dopo l’altro, innescando un infermabile “effetto domino”. Anche la Siria, l’alleato storico di Mosca nell’area dirimpettaia, rischia di venire sommersa dall’ondata di proteste iniziate nel Maghreb. La futura posizione dell’Egitto sulla questione palestinese suscita preoccupazione al Cremlino e potrebbe mischiare ulteriormente le carte in Medio oriente, mettendo a dura prova la diplomazia russa, tradizionalmente assai attiva nella sua opera di mediazione.

  I potenti satelliti di Mosca stanno tenendo sotto stretta osservazione la campagna militare in Libia con il dispiegamento della Flotta occidentale nel Mediterraneo e la situazione dei pozzi petroliferi. “Nessun aereo ha mai bombardato Benghasi”, si sono affrettati ad affermare alti ufficiali dell’ex Armata rossa, smentendo le tivù di mezzo mondo, quelle arabe per prime, quando nella prima settimana di scontri il vuoto mediatico era completo. Il Cremlino ha sdoganato Gheddafi, definito un “cadavere politico” dalla solita fonte ufficiale anonima. L’ingombrante leader della rivoluzione libica ha avuto il torto di non permettere per anni l’entrata dei russi negli immensi affari energetici del suo Paese. Solo di recente, grazie all’Eni, la Gazprom ha acquisito delle quote nel progetto “Elephant”.

  Il Cremlino teme, comunque, che gli occidentali approfittino delle ribellioni popolari per cavalcarle, ecco perché farà valere il proprio peso all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Solo in questa sede, si sottolinea a Mosca, possono essere prese decisioni importanti come la chiusura degli spazi aerei libici (no-fly zone). “La democrazia non si esporta”, è stato il monito che il premier Putin ha lanciato in incontri ufficiali, ricordando l’esperienza fallita delle “rivoluzioni colorate” filo-Usa nello spazio ex sovietico tra il 2003 ed il 2008.

  Gli eventi del nord Africa destano, però, timore a Mosca per le possibili ripercussioni nel proprio “cortile interno”. Anche qui governi autoritari, che controllano enormi ricchezze minerarie, reprimono le masse povere, globalizzatesi negli ultimi anni grazie ad Internet. Gli articoli sui parallelismi al riguardo si sprecano sulla stampa di tutta la Comunità degli Stati indipendenti.

  Per adesso, in mancanza della possibilità di influire direttamente sugli eventi, due sono i risultati parziali positivi ottenuti dalla Russia in questo “’89 africano”. Per prima cosa Putin è potuto volare a Bruxelles alla fine di febbraio e dimostrare agli euroburocrati quanto i tanti criticati approvvigionamenti russi, un paio di volte bloccatisi per i litigi con l’Ucraina, rimangano strategici per il Vecchio Continente. Secondo, in virtù dell’impennata del prezzo del petrolio a seguito della crisi libica, nel 2011 la Russia potrà tranquillamente non mettere mano ai fondi di riserva per finanziare sia i progetti di modernizzazione del Paese sia l’imminente campagna elettorale. In un momento in cui tra la gente si osservano segnali di insoddisfazione verso il governo federale per l’aumento del costo della vita una possibilità del genere pare veramente caduta dal cielo.
Giuseppe D’Amato

 La Fiat costruirà in Russia una fabbrica con una capacità produttiva fino a 300.000 autovetture l’anno. Finora non è stato ancora indicato dove questo nuovo sito verrà realizzato. La società tornese ha intenzione di produrre automobili di varie classi tra cui jeep e camion leggeri. 
 In precedenza un accordo con la compagnia russa Sollers per la costituzione di una joint-venture non era andato a compimento.
 La Russia occupa il decimo posto al mondo per la vendita di autovetture e nel 2020 potrebbe diventare il sesto. Negli anni Settanta la Fiat costruì a Togliatti il maggiore sito per la produzione di autovetture in Urss. Da questo stabilimento sono usciti modelli come la Zhigulì e la Lada.

Articolo – Il Sole 24 ore.

 Da anni non si assisteva ad un incontro con così tanti ministri russi e commissari europei. Ma a Bruxelles José Manuel Barroso e Vladimir Putin avevano un’agenda ricca di punti da discutere, molti dei quali assai complessi.

 A parte la questione dell’adesione di Mosca al Wto e quella della cancellazione bilaterale dei visti il nodo del cosiddetto Terzo pacchetto energetico l’ha fatta da padrone. Mosca è preoccupata per la sua entrata in vigore quest’anno. La clausola principale è che in Europa i proprietari delle materie prime non potranno più detenere le reti di trasporto.

 “Questo documento – ha detto Putin – contraddice i precedenti accordi bilaterali in materia energetica. Il prezzo del gas crescerà dell’8-10%”. Di diversa opinione gli europei. “Non è un documento discriminatorio contro la Russia – ha chiarito Barroso -. Servirà per demonopolizzare il mercato energetico”.

 Il ministro dell’Energia Serghej Shmatko è apparso più conciliante nei toni del suo premier. Il primo scoglio da superare è la questione della pipeline, detenuta da Gazprom in Lituania, che dovrebbe essere messa in vendita dai russi. Mosca vorrebbe ottenere poi anche un’esenzione sulla proprietà del gasdotto Nord Stream.

 Un qualsiasi accordo in materia è ancora lontano, ma sia Bruxelles che Mosca non hanno interesse a forzare la mano. Con la precaria situazione in nord Africa il petrolio ed il gas russi diventano sempre più importanti per l’approvvigionamento continentale, mentre i petro-rubli sono cruciali in questo momento in cui l’ex superpotenza entra nella lunga campagna elettorale per il rinnovo della Duma in dicembre e per le elezioni presidenziali in marzo.

 In Russia sarà estate tutto l’anno. L’ha deciso il presidente Dmitrij Medvedev. Il prossimo autunno il gigante slavo non tornerà all’ora solare. La decisione del giovane capo del Cremlino è stata comunicata ad un incontro con dei giovani scienziati. “Il governo ha già ricevuto istruzioni in merito”, ha annunciato Medvedev. Nel 2010 il leader russo scelse di cancellare due fusi orari nella zona asiatica ed uralica, non preoccupandosi troppo di colpire uno degli orgogli nazionali, ossia quello di essere un Paese con 11 diverse ore. Il problema è che in un mondo globalizzato, che non dorme mai, è pressoché impossibile per il potere centrale avere rapporti con le regioni più orientali. Tra mille mugugni e non poche difficoltà tecniche la quadratura del cerchio è stata trovata.

 Adesso la novità dell’ora legale perenne, quindi per Mosca 4 ore costanti di differenza da Greenwich. Tutti gli anni, ha spiegato Medvedev, ci sono problemi di “adattamento collegato con stress e malattie” varie, “vengono messi in difficoltà i bioritmi”. Il cambio d’ora è generalmente utilizzato in gran parte del mondo per il migliore utilizzo della luce solare e per la riduzione della bolletta elettrica.

 L’idea presidenziale è sostenuta dalle Ferrovie dello Stato, che non avranno più il problema del passaggio dall’ora solare a quella legale e viceversa due volte l’anno, a marzo e ad ottobre. Di tutt’altro tono sono i commenti dei tanti russi che lavorano con l’Unione europea o viaggiano verso occidente. D’estate rimarranno due ore di differenza, ma d’inverno saranno addirittura tre. I rapporti commerciali potrebbero risentirne, viene evidenziato criticamente. E poi la Russia perderà parte dell’attuale sincronismo con una settantina di Paesi, i più avanzati del pianeta. Il gigante slavo è stato tra i primi nel 1917 ad adottare l’ora legale.

Fittissima l’agenda del vertice del gruppo di Weimar, il primo dal 2006 dopo il congelamento voluto da Lech Kaczynski. Nello splendido palazzo di Wilanow il presidente polacco Komorowski, il collega francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel si sono soprattutto confrontati sulle tematiche continentali.

“Poiché 17 Paesi hanno l’euro – ha spiegato il capo dell’Eliseo – è normale che i loro ministri delle Finanze si incontrino”. Attenzione a non creare un’Europa a due velocità, è l’invito di Varsavia.

La Polonia, ancora fuori dalla moneta unica, gestirà dal primo luglio 2011 come presidente di turno dell’Unione la complessa trattativa sul nuovo budget continentale nel periodo 2014-2021. “Stiamo ancora aspettando le proposte della Commissione”, ha annunciato Komorowski, il cui Paese ha ottenuto da Bruxelles oltre 67 miliardi di euro dal precedente bilancio. “Non abbiamo parlato dei dettagli – ha ammesso la Merkel -, ma speriamo che il negoziato sia buono”. Sarkozy ha quindi ribadito che i deficit dei singoli Stati vanno ridotti.

Il gruppo di Weimar, creato nel 1991 per promuovere la cooperazione tra i tre Paesi ed aiutare la Polonia ad integrarsi meglio in Europa dopo il comunismo, si è augurato rapporti più forti con la Russia.

 “Questo è un bel regalo ai nazionalisti russi”. Aider Muzhdabaiev, vice direttore del quotidiano Moskovskij Komsomolets, il giornale più letto a Mosca, non ha dubbi: l’attentato all’aeroporto Domodiedovo serve soltanto alle forze più radicali.
  “I terroristi – esordisce al telefono questo tataro di Crimea, che vive da anni nella capitale russa, – hanno scelto benissimo il luogo dell’attentato. L’azione è stata pianificata in tutti i particolari. L’uscita del terminal arrivi internazionali sopra al parcheggio scoperto non è controllata. Vi sono tutti i macchinari, ma nessuno li usa. Sono passato di lì milioni di volte e non c’era mai neanche un poliziotto. Gli attentatori avrebbero potuto portare decine di chilogrammi di esplosivo e non solo sette.” 
 Allora il presidente Dmitrij Medvedev ha ragione a prendersela con i servizi di sicurezza presenti all’aeroporto? Il Cremlino ha annunciato di voler licenziare un sacco di gente: si stanno soltanto definendo le responsabilità. Si prevede un terremoto nelle alte sfere e non solo. “Lo ripeto: l’attrezzatura laggiù all’aeroporto c’è, ma nessuno la usa. Attenzione. Il messaggio di questi delinquenti è chiaro: ‘stranieri state alla larga dalla Russia. Questo non è un posto sicuro per voi’. E’ stato colpito il terminal arrivi internazionali, lo ripeto”.
  E Mosca, tra l’altro, ha vinto l’organizzazione delle Olimpiadi di Sochi nel 2014 e del campionato del mondo di calcio del 2018. Chi ci potrebbe essere dietro questa azione terrorista? La stampa federale pubblica una lunga lista di possibili ideatori. “E’ difficile dirlo senza tutti i necessari riscontri del caso. Se è stato realmente utilizzato un kamikaze, come finora riportato dalla polizia, il pensiero va subito agli estremisti del Caucaso. Su Internet quell’uomo, sempre che sia lui, ha fatto testamento in un video in cui urla ‘vi ammazzo tutti!’”
  Politicamente chi potrebbe avvantaggiarsi in Russia? Non dimentichiamoci che a dicembre sono previste le legislative e presto il tandem Medvedev – Putin dovrà scegliere il candidato del partito del potere per le presidenziali di marzo 2012. “Il russo medio è abituato a pensare automaticamente da anni che solo Vladimir Putin sia in grado di fronteggiare il terrorismo. E’ una questione d’istinto. Medvedev no, decisamente, no”.
  Mi permetta un’ultima domanda. E chi altro potrebbe sfruttare questo momento? “Se posso fare una previsione nelle settimane passate sono stati cruenti gli scontri xenofobi in piazza a Mosca tra i nazionalisti e i caucasici con morti e feriti. I primi chiederanno che il potere prenda misure maggiormente dure contro le minoranze. Gli attentatori non potevano fare di meglio”.

 

 Rossosch (Medio Don). “Hai mangiato la zuppa nelle gavette degli italiani. Ecco perché hai permesso questa vergogna”. Il professor Alim Morozov viene pesantemente apostrofato da un suo ex allievo, Kolja, che, nel recente passato, ha portato decine di veterani a protestare contro il monumento di amicizia tra alpini e sovietici. Una stella rossa è stata accostata al cappello con la penna in ricordo dei giorni dell’orrore, giusto davanti all’asilo per i bambini russi, costruito da centinaia di volontari dell’Associazione nazionale alpini tra il 1992 ed il 1993 sul luogo dove sorgeva il Comando tricolore. “Non lo capisco – dice sorpreso il direttore del Museo del Medio Don -. Eppure gli italiani hanno aiutato Kolja. Gli hanno fatto ottenere anche un permesso di lavoro, quando dopo il crollo dell’Urss qui la situazione economica era difficile, e da lì lui è riuscito a farsi una vita decente”.

 Come conservare la corretta memoria della Campagna di Russia, ora che gli ultimi veterani se ne stanno andando e le mistificazioni sono all’ordine del giorno in questa parte d’Europa, è uno dei grandi dilemmi da risolvere. Anche perché il lavoro di ricerca e di studio qui non si è fermato affatto malgrado l’entusiasmo degli anni Novanta sia un po’ scemato. In continuazione saltano fuori le piastrine dei nostri caduti, le quali vengono puntualmente riconsegnate ai parenti in Italia.

 Il 2011 è cruciale: i due governi hanno organizzato “l’anno della cultura” russa nel Belpaese e quella italiana in Russia con centinaia di manifestazioni previste. Per il Medio Don questo sarà il trampolino per l’ultima vera occasione di confronto con dei testimoni viventi. Nel 2013 si celebrerà il 70esimo anniversario di una delle peggiori ecatombe nella storia degli italiani e cadrà il ventennale dell’inaugurazione dell’asilo, esempio unico di amicizia e riappacificazione tra popoli. Solo l’immenso cuore degli alpini è stato capace di una tale azione umanitaria a tremila chilometri da casa.

 “Con mia moglie Nina stiamo sistematizzando e catalogando informaticamente tutto”, ci spiega il 78enne Morozov, che nel suo Museo, fulcro dell’attività di ricerca, ha creato un’ampia area dedicata agli italiani. Un primo sito Internet è stato organizzato, mentre sono in corso contatti con Trento per una mostra in autunno. “Sarebbe importante – ammette il professore – che trovassimo degli sponsor che ci aiutassero a pubblicare qui un libro con gli ultimi materiali raccolti”. Il timore è che le falsificazioni e i giudizi fuorvianti di gente come Kolja possano prendere il sopravvento sulla verità storica.

 A parte l’aspetto militare e non tralasciando purtroppo nemmeno le inevitabili reciproche atrocità commesse dai pochi, russi ed italiani hanno scritto una pagina unica di umanità sia durante la Seconda guerra mondiale che dopo l’inizio della perestrojka gorbacioviana con l’operazione “Sorriso” dell’Ana. Quanti nostri ragazzi sono stati curati o rifocillati dalla popolazione locale durante la ritirata o la prigionia a 30 gradi sotto zero, evitando morte certa, e quanti russi sono stati protetti dall’Armir nel corso dei rastrellamenti nazisti!

 Morozov aveva 10 anni durante quei drammatici mesi di presenza nemica che gli ha cambiato la vita. Ancora oggi, pur mantenendo fermo il suo punto di vista sugli avvenimenti, sembra un moderno “Don Chisciotte” in lotta per la verità contro tutto e tutti. Molti degli amici italiani, che, da dopo il 1988, l’hanno aiutato in questa encomiabile impresa, hanno raggiunto nell’aldilà i compagni lasciati per sempre nella steppa nel gennaio ’43. I più giovani, invece, hanno ormai perso mordente.

 Percorriamo in auto i sentieri della ritirata. Quando eravamo arrivati a Rossosch la temperatura era sopra lo zero e non c’era la neve. Il giorno dopo raggiungiamo il Don nel bel mezzo di una tormenta spaventosa. Sul grigio fiume, vicino alle postazioni occupate dalla Tridentina durante la guerra, si stanno formando spesse lastre di ghiaccio. Il gelo ed il vento rendono impossibile stare all’aperto, mentre le strade sono ben presto impraticabili. Passano poche ore e la temperatura precipita a meno 10 per poi piombare a meno 20. Cosa hanno patito quei poveracci nel ’43!

 Morozov nasconde la sua tristezza con un sorriso. Vuole vincere ad ogni costo la battaglia della memoria: soltanto la verità dovrà rimanere per i posteri.

Giuseppe D’Amato

Per leggere altri articoli sulla Campagna di Russia.

 

Ecco il primo video dell’attentato. First Video after the explosion.

Attenzione. Immagini assai crude.  Images not for people under 18.

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