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 “Sta per iniziare un periodo pieno di anniversari e ricorrenze”, così il professor Alim Morozov prima della partenza per l’Italia. Anche il Museo del Medio Don di Rossosch partecipa a Trento all’esibizione sulla Campagna di Russia.
 “Il 2012 – continua lo specialista russo – segna il 70esimo anniversario degli eventi bellici nella regione di Voronezh, il gennaio 2013 della battaglia di Nikolajewka  e nel settembre 2013 cade il ventennale della costruzione dell’Asilo a Rossosch da parte dei volontari dell’Associazione Nazionale Alpini. Bisogna prepararsi al meglio”. I primi incontri organizzativi si sono svolti nei mesi scorsi. Tra i più attivi sono gli iscritti della sezione ANA di Brescia. Intanto, però, godiamo la bella mostra di Trento.

 Dal volantino

Ritorno sul Don 1941-1943: la guerra degli italiani in Unione Sovietica

Diversamente dalle letture tradizionali – dove la campagna di Russia condotta dall’Ottava armata italiana è ridotta alla ritirata alpina del gennaio 1943 – la mostra Ritorno sul Don vuole riprendere la storia di quella sventurata e tragica spedizione nel contesto della “guerra di sterminio” condotta dalle truppe germaniche in URSS.
I video, le fotografie, le mappe collocati nella Galleria nera scandiscono la cronologia di una guerra totale: dall’Operazione Barbarossa scatenata da Hitler con l’obiettivo di annientare l’URSS, all’assedio di Leningrado e Mosca, fino all’offensiva del giugno 1942 che porta le truppe tedesche nel bacino del Don e poi sul Volga, all’assedio di Stalingrado.
Dentro questo grande affresco i visitatori troveranno, come un filo rosso, la guerra degli italiani, dalla partenza del primo contingente, il 10 luglio del 1941, al dolente rientro dei superstiti nella primavera del 1943 dopo la disfatta dell’Ottava armata.
La Galleria bianca si apre con una sezione dedicata alla macchina della propaganda bellica del regime fascista che subito inquieta per la sua violenza e per l’aggressivo antisemitismo.
Dalla propaganda si passa al lascito memorialistico, fiorito copiosissimo nei decenni che seguirono la fine del conflitto. Le sofferte memorie dei reduci spesso testimoniano una travagliata maturazione umana e politica.
L’ultimo tratto della Galleria bianca porta i visitatori nella Russia di oggi: a Mosca, a Voronezh, a Rossosh’, divenuti dopo il 1989 i luoghi del confronto tra opposte memorie, i luoghi della ricerca e di una rilettura di quella che per i russi rimane la “grande guerra patriottica”.

Una realizzazione della Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con il Museo centrale della grande guerra patria di Mosca e l’Università statale agraria di Voronezh (V.G.A.U.)

Partner
Museo Nazionale Storico degli alpini, Trento
Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto

Mostra a cura di: Quinto Antonelli, Lorenzo Gardumi, Giorgio Scotoni

Comitato scientifico: Giuseppe Ferrandi, Sergey Ivanovich Filonenko, Nicola Labanca, Alim Iakovlevich Morozov

Con la collaborazione di:
Archivio statale regionale di Voronezh (G.A.V.O)
Complesso museale federale di Vladimir-Suzdal’
Museo etnografico storico di Rossosh
Studio d’arte figurativa Grekhov, Mosca

Luogo: Gallerie di Piedicastello

  • Piazza di Piedicastello
  • 38122 Trento

Apertura Mostra 19/11/2011 – 30/09/2012

  La Russia è fortemente preoccupata per la situazione nel Golfo Persico. La sua diplomazia si muove per evitare l’irreparabile. Il rischio di una nuova guerra è alto. Un attacco israeliano all’Iran “sarebbe un errore molto grave dalle conseguenze imprevedibili”, ha sottolineato Serghej Lavrov. Serve, ha spiegato il ministro degli Esteri russo, una decisa iniziativa per tornare al tavolo dei negoziati ed uscire dall’attuale vicolo cieco. Il monito di Mosca giunge, quando pare che un’azione militare dei cacciabombardieri con la stella di Davide contro una decina di installazioni atomiche iraniane sia ormai questione di ore.
 Almeno è questo che si è desunto dalle parole chiarissime del presidente israeliano Shimon Peres, che parla di “attacco probabile”. L’’Aiea, l’agenzia internazionale per il controllo dell’energia atomica, ha appena pubblicato un rapporto sull’Iran. Alcuni suoi stralci erano stati, però, già resi noti da un quotidiano statunitense nei giorni scorsi.
 Teheran si sarebbe presa gioco della comunità internazionale e le sanzioni della Nazioni Unite non sarebbero servite a nulla. Le prove definitive sul carattere militare del programma atomico degli ayatollah sarebbero la creazione al computer di testate nucleari e le fotografie scattate dai satelliti di un enorme container di acciaio usato per test ad alta capacità esplosiva. In Russia si discute del ruolo chiave svolto dall’esperto “sovietico” Vjaceslav Danilenko, che avrebbe anche insegnato agli iraniani a sviluppare detonatori ad alta precisione. Con lui hanno collaborato al programma militare specialisti pakistani e nord coreani.
 Un giornale russo ha tentato di identificare questo Vjaceslav Danilenko. Ve ne sono due – con identico nome e cognome, ma diverso patronimico – che lavorano in questo campo: uno ucraino, l’altro russo. L’ucraino ha negato di avere mai avuto rapporti con l’Iran. Il secondo, invece, avrebbe avuto contatti con Teheran negli anni Cinquanta. L’opinione diffusa a Mosca è che la fuga di notizie dagli Usa sia stata non casuale e che l’Iran non ha ancora sviluppato capacità militari.
 Qualche mese fa la Russia, dopo anni di ritardi, ha consegnato la centrale atomica ad usi civili di Bushehr, la prima in funzione in Iran. Gli americani avevano espresso la loro contrarietà, ma Mosca ha fornito ampie rassicurazioni al riguardo.
 Stando ad alcuni analisti militari gli Stati Uniti, ancora infuriati per il recente fallito complotto iraniano organizzato per uccidere l’ambasciatore saudita a Washington, potrebbero appoggiare l’azione israeliana dalle portaerei dislocate nel golfo Persico.

 Il Sogno della Gazprom si è finalmente realizzato. Russia e Germania sono adesso unite da un gasdotto che evita il passaggio su territori dei riottosi vicini.
Il Nord Stream entra in funzione alla presenza del presidente russo Medvedev e del cancelliere tedesco Merkel. Il costo per costruire i 1223 chilometri di pipeline sotto al mar Baltico è stato di 8,8 miliardi di euro. Alcuni leader nazionalisti polacchi hanno definito questa megaopera tecnologica un nuovo “patto del diavolo” come quello tra Molotov e Ribbentrop dell’agosto 1939.  Ma tutti i Paesi baltici in generale hanno espresso preoccupazione.
La Russia alleggerisce così la sua dipendenza dal transito attraverso l’Ucraina per rifornire i ricchi mercati europei. Il progetto gemello, il South Stream, sotto al mar Nero è ancora in fase di organizzazione. L’accordo per la realizzazione del Nord Stream è stato firmato nel 2005. Tra un anno verrà finito di costruire un secondo ramo. A pieno regime ognuno delle due condotte avrà una capacità di 27,5 miliardi di metri cubi l’anno.

 

A Leopoli il costo totale per la preparazione di Euro 2012 è stato di 13,1 miliardi di grivnija, dei quali 8,6 dal fondo statale. Lo stadio “Arena Lviv” ha una capacità di 34.915 spettatori.

 

 Prima grandiosa, roba da raccontare ai posteri. La Russia ha aspettato per ben 6 anni l’inaugurazione del nuovo teatro Bolshoj ed adesso si gusta questo momento. Tutti i potenti del Paese slavo, ad iniziare dal presidente Medvedev, hanno assistito al “Gran galà”, trasmesso anche in diretta televisiva in mezzo mondo, visibile nella capitale su maxischermi oppure sul canale dedicato su “You Tube”. 
 L’ingresso al teatro è ad invito, ma alcuni biglietti sono stati venduti su Internet a prezzi da capogiro. Sembra che qualcuno sia arrivato a pagare fino a 50mila euro pur di non perdersi la prima e di farsi vedere tra chi conta nell’ex superpotenza.
 “Questa per noi è una festa nazionale” ha confessato l’emozionato direttore del teatro, Anatolij Iksanov, che tenta di nascondere il ricordo dei troppi guai passati. Per il restauro non si è badato a spese visto il conto finale salato presentato. Ufficialmente quasi mezzo miliardo di euro se ne sono andati nel mezzo di liti incredibili, polemiche feroci ed inchieste giudiziarie.
 Ma ne è valsa la pena, affermano gli esperti. Il Bolshoj, la cui capienza è stata ridotta da 2100 a 1740 spettatori, ha riacquistato l’acustica che aveva nel 19esimo secolo prima di alcuni lavori mal svolti in epoca sovietica. E poi del restauro non se ne poteva fare più a meno. “Quando nel 2005 il teatro è stato chiuso – ha confidato Iksakov – vi erano quasi il 70% di possibilità che l’edificio crollasse”.
 Le fondamenta sono state lentamente sostituite, un migliaio di pali in acciaio sono stati piantati per garantire maggiore stabilità. La struttura è dotata di cinque piattaforme mobili e di una profonda area per l’orchestra. Le pareti sono state ricoperte con dei fogli di pino raro, il tessuto rosso delle poltrone è speciale di produzione italiana. Tra le tante curiosità vi è il nuovo lampadario d’oro che pesa due tonnellate.
 Insomma, è stato fatto l’impossibile affinché la quadriga di Apollo, simbolo del teatro fondato nel 1776 al tempo di Caterina II, torni a galoppare. E per la prima sono stati scelti “stelle” e ballerini di prima grandezza. Tutto deve essere perfetto.
 Il programma di questi mesi di riapertura è denso di appuntamenti di richiamo dal “Boris Godunov” allo “Schiaccianoci”, al “Ruslan e Ljudmila”. La prima compagnia straniera ad esibirsi sarà quella del “la Scala”. I preziosissimi biglietti per il suo spettacolo sono ufficialmente in vendita per 300 euro, ma per essere sicuri di esserci bisognerà aggiungere molte altre banconote.

 Colpevole e condannata a sette anni di carcere. Il giudice non aveva ancora finito di leggere la sentenza che Julija Timoshenko gridava già alle televisioni di tutto il mondo la sua rabbia.  L’ex primo ministro ucraino è una donna tutta d’un pezzo. Con lei le mezze misure non valgono: o la si ama o la si odia. Nessun leader politico era mai riuscito a dividere in simil maniera l’Ucraina.  “Assistiamo ad un nuovo 1937 – ha urlato in tivù la Timoshenko, indignata, dopo che, per un paio d’ore, aveva sorriso nervosamente ai presenti in aula -. Ucraini, alzatevi e lottiamo insieme contro la dittatura. Porterò il mio caso alla Corte europea dei diritti umani”.
  L’ex premier è stata condannata per abuso di potere e malversazione. Nel gennaio 2009, dopo l’ennesima guerra del gas con Mosca condita da estenuanti trattative, ha concordato con Putin un contratto che avrebbe procurato all’Erario nazionale circa 200 milioni di dollari di danni. 
  L’esito del processo, secondo numerosi specialisti, era scontato. Gli oligarchi ucraini, a suo tempo, avrebbero promesso di fargliela pagare all’“eroina” della rivoluzione “arancione” dell’autunno 2004. Troppe volte la Timoshenko, in carica come primo ministro, aveva messo loro i bastoni tra le ruote, facendo perdere importanti affari. Ed il presidente Janukovich, suo acerrimo nemico, è il paladino di alcuni di questi oligarchi.
  Alle notizie provenienti da Kiev, pronte sono state le reazioni negative di Unione europea e Russia. Bruxelles, attraverso un portavoce comunitario, ha messo in chiaro che questo verdetto rischia di compromettere la decisione di concedere all’Ucraina lo status di Paese associato all’Ue. “Non capisco perché le abbiano dato sette anni”, ha osservato il premier Putin, che ha rimarcato ironicamente che come cifra (sette) non è male. La Timoshenko, ha ricordato il leader russo “non è un’amica, ma un avversario politico, poiché è sempre stata orientata verso Occidente”.
  Adesso vi è il serio pericolo che ricominci lo scontro tra Kiev e Mosca per il gas con tutte le conseguenze del caso per gli approvvigionamenti europei. L’80% del metano russo diretto all’Ue passa appunto per l’ex repubblica sovietica. Il presidente Janukovich ha già reso noto di volere assolutamente ridiscutere il contratto siglato dalla Timoshenko nel 2009. 
  Sullo sfondo di questa resa dei conti interna vi è la lotta per la collocazione geopolitica della strategica Ucraina. Putin la vuole a tutti i costi all’interno della prossima nascente Unione eurasiatica, che dovrebbe controbilanciare ad Est l’Ue. Senza Kiev, Mosca lo sa bene, non si può ricostruire l’impero. Di certo non l’Urss, ma un gruppo economico compatto, in grado di competere al tempo della globalizzazione. Il progetto unionista è centrale nel programma del terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin.  Janukovich sa perfettamente che gli ucraini non ne vogliono più sapere di Mosca e guardano ad Occidente, ma l’Ue si intestardisce a tenere chiuse le sue porte. 
 Tornando al verdetto di Kiev, l’ex presidente Jushenko ha affermato che quello della Timoshenko “non è un processo politico”. L’ex premier non si consultò con lui per la firma dell’accordo coi russi. Janukovich ha invece tentato di buttare acqua sul fuoco, asserendo che il giudice ha compiuto il suo dovere applicando il vecchio Codice del 1962. L’ex premier, che viene chiamata la “Khodorkovskij” ucraina ha, però, la possibilità dell’appello.

 La Polonia continua nel suo corso liberale – riformista. Questo l’esito delle insidiose legislative, assolutamente non così scontate come potrebbe sembrare. Per la prima volta dal crollo del Muro di Berlino un partito ottiene un secondo mandato consecutivo. A Varsavia si è forse trovato il giusto equilibrio tra stabilità e sviluppo. E la notizia non può che far piacere all’intera Europa.

Donald Tusk ed il ministro Sikorski

 Sono stati definitivamente sconfitti i fantasmi passati e più recenti. Con l’adesione all’Unione europea nel 2004 è entrato nei libri di storia il secolare penalizzante scenario di un Paese geostrategicamente schiacciato tra Russia e Germania. Gli ultimi tentativi in campagna elettorale di risvegliare i vetusti incubi sopiti nell’animo della nazione polacca non hanno prodotto risultati.
Varsavia è ormai pienamente dentro al processo di integrazione continentale. I suoi sostenitori sono in netta maggioranza. Sebbene Washington e gli Stati Uniti continuino ad essere per lei un punto di riferimento e di ispirazione il primato d’oltreoceano è ora messo in seria discussione da Bruxelles.
Neanche il premier Donald Tusk si aspettava una vittoria così. La sua espressione di entusiasmo nell’apprendere gli exit polls ne è la prova. L’ex dissidente liberale di Danzica ha evitato uno dei tanti colpi di coda così frequenti nella storia del Paese. Nelle ultime settimane i conservatori capeggiati dall’euroscettico Jaroslaw Kaczynski si erano tremendamente avvicinati, fermandosi al 30%.
La Polonia è oggi divisa in due, tra chi gode del boom economico e chi ne è rimasto fuori. Tusk ha, però, vinto perché ha collezionato una serie di successi. Ad esempio la Polonia è l’unico Stato Ue a non essere caduto in recessione nel 2009 anche grazie ai copiosi fondi strutturali europei (elargiti anche come ricompensa per l’abbandono del Paese nelle mani sovietiche dopo la fine della guerra) ed agli investimenti stranieri, soprattutto statunitensi.
La grande sorpresa di queste elezioni è rappresentata dall’incredibile avanzata nella cattolicissima Polonia della lista “anticlericale” dell’imprenditore Janusz Palikot, che si batterà per i diritti dei gay e la liberalizzazione della marijuana. In caduta libera sono, invece, gli ex comunisti, ora socialdemocratici, di SLD.
Inizia adesso per Tusk un nuovo mandato, più complicato del primo, soprattutto per la crisi economica internazionale. Oltre al rischio tipico di sedersi sugli allori, si devono gestire al meglio la trattativa in corso sul budget Ue 2014-2020 (a Varsavia dovrebbero andare 81 miliardi, nel precedente 67), l’importantissima vetrina dei campionati europei di calcio nel 2012 ed una maggiore liberalizzazione dell’economia. Vincere queste sfide, non dimenticandosi delle ampie differenze interne, garantirà alla Polonia un futuro di prosperità.

Parties 2007 2011
Piattaforma civica – Civic Platform – PO 41,5% – 209 seats 39,6%
Legge e Giustizia – Law and Justice – PiS 32,1% – 166 seats 30,1%
Lista Palikot – Palikot’s movement

Non partecipò – Did not stand

10,1%

Socialdemocratici – Democratic Left A. – SLD 13,2% – 53 seats 7,7%
PSL Polish People party 8,9% – 31 seats 8,2%
PJN – Poland comes first

Non partecipò – Did not stand

2% 

                                                                            TVP – TVN24 Warsaw 21h.

Affluenza alle urne 2011 – 48,92%
Turnout in 2011 – 48,92%

 Affluenza in 2007 – 53,88%
 Turnout in 2007 – 53,88%

Tusk contro Kaczynski. Il liberale contro l’ultra conservatore. Il moderno filo-occidentale, attualmente leader semestrale di turno dell’Unione europea, contro l’euroscettico, che critica pesantemente i nemici storici tedeschi e russi.

I polacchi, che appaiono sempre più divisi tra coloro che godono del boom economico di questi anni e chi invece si è ulteriormente impoverito, scelgono tra due visioni opposte. Non è un caso che il premier Donald Tusk abbia chiuso la sua campagna elettorale incontrando a Varsavia migliaia di ragazzi nel rinnovato stadio nazionale, simbolo della Polonia post comunista e fiore all’occhiello di Euro 2012. Jaroslaw Kaczynski, al contrario, ha preferito partecipare ad un pranzo tradizionale in provincia, ospite di una semplice famiglia. Città contro campagne, dunque. Giovani contro generazioni più mature.

Venerdì sera colpiva il visitatore straniero osservare il contrasto tra una decina di anziani con le candele in mano raccolti in preghiera davanti al palazzo presidenziale in ricordo dei morti della tragedia aerea di Smolensk dell’aprile 2010, mentre tutto intorno bar e ristoranti, pieni all’inverosimile di persone mezze ubriache appartenenti alla classe media, sparavano musica a tutto volume.

In queste tese settimane Tusk ha parlato di economia, di riforma delle pensioni, di controllo del deficit di bilancio e del debito (addirittura il 55% del Pil!). Il Paese, che sta gestendo le trattative per il bilancio continentale UE 2014-2020, è prossimo a nuove privatizzazioni ed alla costruzione di altre infrastrutture, finanziate sempre con i fondi europei (67 miliardi di euro nel precedente bilancio UE, forse 81 nel prossimo). Durante il suo premierato gli stipendi medi sono aumentati del 18%, la Polonia cresce da un decennio al ritmo del 3% ed è l’unico Stato Ue a non essere caduto in recessione nel 2009.

Jaroslaw Kaczynski, che non ha perso la sua bellicosità dopo la tragica morte del fratello-gemello presidente Lech a Smolensk, ha ribattuto punto su punto, aiutato dai candidati del suo partito Legge e Giustizia. Non ha, però, mancato di risvegliare i vecchi fantasmi, affermando che la Merkel è diventata cancelliera anche grazie alla Stasi, i servizi segreti della DDR.

L’ago della bilancia della partita potrebbero essere gli altri contendenti. Solo 5 formazioni – affermano sondaggi contrastanti – dovrebbero superare la barriera del 5%, per avere una rappresentanza parlamentare. Molto dipenderà dal tasso di affluenza alle urne e dalla performance di PSL, alleato di coalizione di Piattaforma civica di Tusk, mentre sorprende la forza della Lista “anticlericale” di Janusz Palikot a scapito dei socialdemocratici di SLD.

Se Piattaforma civica vincerà sarà il primo partito dal 1989 ad ottenere due mandati consecutivi. La paura della classe media nazionale e della Commissione europea è, però, che inizi un periodo di instabilità politica anche in Polonia. Un altro mal di pancia per Barroso e company non ci vorrebbe proprio!

Giornale polacco 1911 - catedra.ru

«L’hanno deturpata, sconsacrata, ridotta in una fabbrica. Ma alla fine la fede ha prevalso sull’ideologia comunista. La storia della Cattedrale dell’Immacolata Concezione di Mosca è una storia di sofferenza e redenzione. Esempio sublime di stile neogotico, la Cattedrale ha attraversato il Novecento assieme al popolo cristiano della Russia. Una storia straordinaria che è stata ricordata dall’Inviato del Papa, il cardinale Jozef Tomko, nella celebrazione per il centenario della Consacrazione.
 Una Messa celebrata con vescovi e sacerdoti russi, ma anche provenienti dalla Bielorussia, dal Kazakhistan, dalla Lituania, dalla Polonia e dagli Stati Uniti. Ecco la riflessione del porporato sull’importanza di questo centenario, raccolta da Andrei Tarasov:
“Una storia che rispecchia quella della Chiesa nell’Unione Sovietica. E’ una storia commovente di 100 anni, anche se la cattedrale non è stata usata per tutto il secolo ma solo per 50 anni. La Messa si celebrava fuori, sulle scale, anche d’inverno, per affermare visibilmente il desiderio ed il diritto dei fedeli ad averla. Queste sono cose commoventi, che riguardano la professione della fede da parte di questo popolo. Un popolo che esprime la propria fede non solo con la testa ma anche con il cuore”.
 La Cattedrale dedicata a Maria fu la prima chiesa cattolica di Mosca ad essere chiusa dai bolscevichi. Era il 1937: il parroco fu fucilato, i fedeli perseguitati. Seguì un inverno di oltre 50 anni che non riuscì però a spegnere la luce della fede in Cristo. Caduto il comunismo, i cattolici moscoviti dovettero aspettare fino al 1999 per la nuova consacrazione dell’edificio. Da allora, è tornato ad essere il cuore pulsante della comunità cattolica a Mosca. D’altro canto, il cardinale Tomko sottolinea che questo centenario non guarda solo al passato, ma è un segno di speranza per il futuro della Chiesa russa:
“Anche la giovane Chiesa russa sta crescendo. E’ importante che questa trovi espressione ed abbia le sue vocazioni”.
In questo centesimo anniversario, tornano alla memoria le parole che l’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz, pronunciò commosso al momento della restituzione della Cattedrale ai suoi fedeli: “Anche a Mosca, che nel periodo sovietico è stata considerata la capitale dell’ateismo, l’ultima parola è quella di Dio”».

 Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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