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 Non sempre le elezioni anticipate sono la soluzione di tutti i problemi. La Bulgaria è il classico esempio.
I risultati delle parlamentari danno avanti i conservatori di Gerb dell’ex premier Boiko Borisov al 31%, seguiti al 27% dai socialisti di Stanishev.  A superare lo sbarramento del 4% per avere una rappresentanza parlamentare sono anche il partito della minoranza turca Dps con il 10 ed i nazionalisti di Ataka con il 7. flagofBulgaria
Alla chiusura delle urne migliaia di persone sono scese in piazza a Sofia per protestare. Il rinvenimento di ben 350mila bollettini falsi da parte della polizia alla vigilia della consultazione ha ulteriormente acceso gli animi.
Il rischio di stallo politico è adesso altissimo. Considerando le dichiarazioni della vigilia e l’esito delle votazioni, nessuna formazione ha la forza per governare da sola. A meno di sorprese servirà un accordo sul tipo delle “larghe intese”. Nel febbraio scorso Boiko Borisov fu costretto alle dimissioni, quindi alle elezioni anticipate.
La Bulgaria, dal 2007 membro dell’Unione europea, vive un momento particolarmente difficile. La crisi economica, la corruzione e i bassi standard di vita hanno provocato delusione ed apatia tra la popolazione. La disoccupazione si aggira ufficialmente sul 12%, mentre secondo altre fonti sarebbe invero del 18%.

Montatura per vendetta politica o l’ennesimo caso di imbroglio ai danni dello Stato? Il processo contro Aleksej Navalnyj, il blogger anti-Putin, diventato il punto di riferimento dell’opposizione russa, divide il gigante slavo. Le parti sono contrapposte e vie di mezzo non ve ne sono, assolutamente. Navalny
Le accuse mosse contro il blogger, che ha inventato lo slogan “Russia Unita, il partito dei ladri e dei manigoldi”, appaiono assai deboli. Navalnyj viene processato lontano da Mosca, a Kirov, per appropriazione indebita, quando nel 2008-2009 era consigliere del locale governatore regionale. Avrebbe messo in piedi una vendita svantaggiosa di legname per fini personali. Rischia fino a 10 anni di carcere.
A metà aprile il processo era stato aperto ed immediatamente rimandato per dare tempo agli avvocati dell’uomo, oggi il più indigesto per il Cremlino, di conoscere gli incartamenti. E mercoledì 24 ben due sono state le interruzioni con il giovane giudice indeciso sul daffarsi, mentre all’esterno del Tribunale fans del blogger e militanti filo-governativi si fronteggiavano con tanto di striscioni infamanti.
Nel corso del dibattimento i testimoni dell’accusa non sono nemmeno riusciti a ripetere in aula quanto deposto durante le indagini. Avevano dimenticato dettagli importanti.
Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e rappresentanti diplomatici stranieri, presenti a Kirov, osservano preoccupati gli eventi. Human Rights Watch ha addirittura avvertito Mosca di stare violando gli impegni internazionali presi. Di recente Amnesty International ha reso pubblico un rapporto, dal titolo “Libertà minacciata”, sul primo anno del terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin, in cui sono messe in luce sistematiche limitazioni e violazioni della libertà di espressione, riunione ed associazione.
“L’analisi dei documenti ufficiali pubblicati sul caso Navalnyj – ha scritto sul quotidiano Vedomosti l’ex oligarca, ora in carcere, Michail Khodorkovskij – non lascia dubbi: in un processo giusto ed equo tali accuse sono inapplicabili. La motivazione politica del procedimento è evidente”.
Il blogger, dal canto suo, non pesa affatto le sue parole. Anzi ha puntato il dito direttamente contro il Cremlino, che avrebbe inventato la vicenda “da capo a piedi”. I guai giudiziari di Navalnyj, considerato un possibile futuro antagonista di Putin per la Presidenza, non finiscono qui: alcuni giorni fa lui e suo fratello sono stati inquisiti per una frode postale.
Se condannato l’opposizione rischia di ritrovarsi senza uno dei suoi leader più amati. Nei mesi passati Navalnyj ha pubblicato diversi documenti – non si sa da chi ricevuti – che hanno portato alle dimissioni di diversi parlamentari di Russia Unita, il partito del Cremlino.
La sensazione è che lo scontro tra potere ed opposizione sia adesso passato dalle piazze alle aule di giustizia. I russi sono stanchi di una politica che non li appassiona non in grado di risolvere gli enormi problemi sociali.

«Умер Борис Березовский – изумительно талантливый человек, игравший роль злого гения в российской политике позапрошлого десятилетия.
За все последние сто лет в России был только один другой персонаж, сравнимый с Березовским – фаворит последней императорской четы Григорий РаспутинBerezovsky
Начало 90-ых годов многие высшие деятели российской власти встретили в состоянии восторженного идеализма…
Это время политической невинности заведомо не могло длиться долго…
Дослужившийся в советскую эпоху до довольно скромной должности заведующего лабораторией в Институте проблем управления Академии наук Борис Абрамович Березовский оказался неожиданным символом этой потери невинности.
От прихоти этого демонического персонажа зависело: кто останется министром или даже премьером, кому суждено пасть, а кому возвыситься, кто должен стать сказочно богатым, а кому суждено обнищать…
Осенью 1996 года Бориса Абрамовича за заслуги в деле переизбрания президента Ельцина на второй срок назначили на его первую государственную должность – заместителя секретаря совета безопасности РФ…
Штаб-квартира Бориса Абрамовича в старинном особняке на Новокузнецкой улице в Москве была в те годы реальным нервным центром политической жизни страны. Министры, губернаторы и депутаты могли часами дожидаться ” хозяина” в многочисленных местных приемных, каждая из которых была предназначена для просителей строго определенного ранга…
Почему для многих именно он, а не, допустим, Ельцин является символом 90-ых? Мне кажется, что это произошло в силу комбинации случайного везения и многих объективных факторов. Березовский был блестящим манипулятором. Он умел создавать отношения с десятками и сотнями важных людей и превращать их в свои марионетки. Березовский умел создавать в уме изощренные политические и бизнес-комбинации, а затем неукоснительно проводить их в жизнь. Березовский был абсолютно безжалостен. Люди были для него пешками. Если возникала необходимость, он без колебаний смахивал их с шахматной доски. Березовский лучше всех ухватил дух времени. Он первым понял правила жизни в новой реальности и сумел стать жестоким королем этой реальности. Березовский был исключительно циничным человеком… »

 Статья – Михаил Ростовский –Московский Комсомолец  23 марта 2013 Mikhail Rostovsky Moskovskij Komsomolets

 I russi sono letteralmente furibondi: non sono stati consultati dagli europei, quando Bruxelles ha proposto a Nicosia il prelievo forzoso dai conti correnti bancari.
Eppure Mosca credeva di essersi guadagnata la fiducia internazionale, avendo già prestato a Cipro nel 2011 ben 2,5 miliardi di dollari, mentre i “partner” continentali continuavano ad osservare la situazione creatasi sull’isola del Mediterraneo senza alzare un dito. CiprusFlag
La delusione è tanto più grande, poiché tutti i meccanismi di consultazione con l’Ue si sono dimostrati inadeguati. Il gruppo di Paesi, che continua a vedere nell’ex superpotenza comunista un pericolo, ha imposto la scelta del prelievo forzoso proprio per colpire Mosca.
In queste convulse ore le cifre sono state confermate anche dalla Banca centrale di Cipro: su 68 miliardi nei forzieri, una trentina appartengono a russi. Il che potrebbe significare una perdita spaventosa. Il buco da coprire in fretta a Nicosia si aggira sui 5,8.
Persino società, controllate dallo Stato federale, hanno i conti bloccati sull’isola mediterranea, ha ammesso il premier Dmitrij Medvedev, che ha ipotizzato la creazione in qualche regione periferica dell’immenso gigante slavo di speciali aree off-shore.
“Molliamogli Kaliningrad-Koenigsberg (con la Prussia orientale) e prendiamoci Cipro”, scriveva ironicamente in un editoriale il popolare Moskovskij Komsomolets.
Non c’è magnate famoso o compagnia importante che non abbia una sede in quella che un tempo veniva considerata l’isola del tesoro, dove i soldi venivano messi al sicuro lontani dalle grinfie di burocrati corrotti. Adesso toccherà trovare ospitalità da qualche altra parte. La favola è finita!
Cipro è da anni ai primi posti tra i Paesi investitori diretti in Russia. In realtà, questi sono capitali di ritorno che, in pratica, godono nella Patria ritrovata di una giurisdizione diversa da quella nazionale. Ecco un’altra ragione della creazione di una piazza finanziaria del genere.
Gli europei hanno sfruttato l’occasione per rimettere ordine nello spazio dell’euro. Si sono levati un bel sasso dalle scarpe, considerando alcune chiacchierate operazioni messe a segno nell’ultimo decennio dagli spericolati oligarchi moscoviti.
Il rischio è, però, che questa operazione sia un boomerang. All’apertura delle banche cipriote i soldi dei russi (quelli non tassati) prenderanno certamente il volo. Il buco cipriota potrebbe allora trasformarsi in una voragine quattro volte maggiore. Il governo federale ha minacciato anche di cambiare la composizione delle proprie riserve valutarie, riducendo le quote dell’euro. Il che significherebbe giorni difficili per la moneta unica.
Dal 26 marzo a Durban è previsto il summit annuale dei Paesi emergenti del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). I russi, che hanno il loro tallone d’Achille dalla dipendenza eccessiva dal prezzo del petrolio, probabilmente prepareranno qualche sorpresa. Allontanarsi in un sol colpo da euro e dollaro? Difficile. Spingeranno intanto per il rafforzamento del cinese yuan, come valuta di riferimento. Il summit al Cremlino con la nuova dirigenza di Pechino è giunto proprio a puntino.

 Tenere viva nel mondo la sete dell’Assoluto. Questa l’esortazione indicata da Papa Francesco nel discorso rivolto ai rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali, del popolo ebraico e delle varie religioni, incontrati nella Sala Clementina in Vaticano. Poco prima, il Pontefice aveva incontrato il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I – con cui si è intrattenuto per circa 20 minuti e che più tardi ha ringraziato come “mio fratello Andrea” – e il Metropolita Hilarion, del Patriarcato di Mosca.

da Osservatore Romano

da Osservatore Romano

Bartolomeo I e Hilarion hanno donato al Papa due icone mariane. Nell’incontro nella Sala Clementina, Papa Francesco – che ha espresso la “ferma volontà” di proseguire il cammino nel dialogo ecumenico – ha poi ricordato lo speciale vincolo spirituale con il popolo ebraico, l’importanza della cooperazione con i fedeli di altre religioni e la meta dell’unità tra i credenti in Cristo.
Papa Francesco, rivolgendosi ai delegati delle Chiese Ortodosse e delle Comunità ecclesiali d’Occidente, ha indicato una prospettiva intima e peculiare, quella tracciata dal suo sguardo proteso verso Piazza San Pietro in occasione della Messa per l’inizio del ministero petrino:

“Ho riconosciuto spiritualmente presenti le comunità che rappresentate. In questa manifestazione di fede mi è parso così di vivere in maniera ancora più pressante la preghiera per l’unità tra i credenti in Cristo e insieme di vederne in qualche modo prefigurata quella piena realizzazione, che dipende dal piano di Dio e dalla nostra leale collaborazione”.

Il Pontefice, dopo aver chiesto ai rappresentanti delle Comunità cristiane una speciale preghiera affinché “possa essere un Pastore secondo il cuore di Cristo”, ha ricordato che il migliore servizio alla causa dell’unità tra i cristiani è vivere in pienezza la fede, dando “una testimonianza libera, gioiosa e coraggiosa”.

“Più saremo fedeli alla sua volontà, nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e più cammineremo realmente e sostanzialmente verso l’unità”.

Il Papa si è poi rivolto ai rappresentanti del popolo ebraico, al quale – ha detto – ci lega uno “specialissimo vincolo spirituale”:

“Vi ringrazio della vostra presenza e confido che con l’aiuto dell’Altissimo, potremo proseguire proficuamente quale fraterno dialogo che il Concilio auspicava e che si è effettivamente realizzato, portando non pochi frutti, specialmente nel corso degli ultimi decenni”.

Salutando i rappresentanti di altre religioni, Papa Francesco si è rivolto in particolare ai musulmani:

“Apprezzo molto la vostra presenza: in essa vedo un segno tangibile della volontà di crescere nella stima reciproca e nella cooperazione per il bene comune dell’umanità”.

La Chiesa cattolica – ha spiegato il Pontefice – è consapevole dell’importanza del dialogo interreligioso:

“La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose; questo voglio ripeterlo: promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. (…) Essa è ugualmente consapevole della responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato, che dobbiamo amare e custodire. E noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace”.

Servizio completo – Radio Vaticana – Andrea Lomonaco – 20.03.2013

“La Chiesa ortodossa russa saluta la scelta del Conclave – ha dichiarato il diacono Aleksandr Volkov, portavoce del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill -. E come in passato spera che i rapporti tra le due Chiese si sviluppino in modo positivo”. PapaFrancesco
Anche il mondo ortodosso ha seguito da vicino l’elezione del Pontefice. I principali canali televisivi hanno tenuto in questi giorni lunghe dirette da Roma ed i notiziari odierni hanno aperto con le immagini di Papa Francesco.
L’autorevole protodiacono Andrej Kuraev ha scritto sul suo blog di avere “ottime sensazioni” e si è augurato che la vicinanza del nuovo Pontefice al popolo semplice portino successo alla sua missione.
Nei giorni scorsi il capo del settore informativo del Patriarcato di Mosca Vladimir Legojda ha ribadito che il tanto atteso incontro tra il Papa ed il Patriarca di Mosca dovrà essere “il risultato di passi seri intrapresi e di decisioni importanti”.
Dal Sud America il rappresentante della Chiesa ortodossa russa all’estero, il vescovo di Caracas Ioann, ha ricordato l’eccezionale aiuto logistico fornito da monsignor Bergoglio all’organizzazione di una mostra di icone nel dicembre scorso presso l’Università cattolica argentina a Buenos Aires. “E’ una persona semplice – ha detto il prelato – ed ha un buon rapporto con la Russia”.

 “Il suo nome è sinonimo di gesta gloriose”, titola “za Izobilie”, testata di Rossosch, dove il Corpo d’armata alpino aveva stabilito la sua sede. Alla presenza delle autorità locali e di molti giovani delle scuole è stato inaugurato il monumento al maresciallo delle truppe corazzate, Pavel Rybalko, due volte insignito del titolo onorifico di “eroe dell’Unione sovietica. Rossosch1
La Russia ricorda il 70esimo anniversario dell’operazione Ostrogov-Rossosch, che causò la ritirata dal fiume Don delle truppe dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale. Tra qualche giorno, il 2 febbraio, sarà la volta della fine della battaglia di Stalingrado.
Cerimonie in occasione della “liberazione dal nazi-fascismo” si sono tenute un po’ ovunque in questo periodo nelle regioni di Rostov e di Voronezh. La maggiore in Italia è quella in calendario a Brescia.
“Abbiamo ricordato soprattutto le vittime di quelle terribili settimane – dice lo storico Alim Morozov, direttore del Museo del Medio Don, sito nell’asilo costruito dai volontari dell’Associazione nazionale alpini tra il 1992 ed il 1993 -. Oramai di veterani non ce ne sono quasi più”.
Un tempo in gennaio venivano in tanti dall’Italia per ripercorrere il triste cammino della ritirata. Chi a piedi, chi in autobus. “Quest’anno abbiamo visto soltanto un certo Alfredo della provincia di Brescia ed un piccolo gruppo portato da un’agenzia di turismo di Mosca”, racconta Morozov, che ha pubblicato recentemente due libri.
Il suo “Gli italiani a Rossosch 1942-43” è uscito in russo, ma la traduzione nella lingua di Dante verrà edita entro settembre 2013, quando oltre un migliaio di alpini con le loro famiglie sono attesi sul Medio Don per festeggiare insieme il ventesimo anniversario dell’edificazione dell’asilo.

 L’Africa settentrionale rischia di trasformarsi in un nuovo Afghanistan? Oppure siamo di fronte ad un’ondata di colonialismo europeo sotto mentite spoglie, quelle del XXI secolo? Dopo la morte del leader libico Gheddafi l’Africa è diventata più insicura? “La crisi degli ostaggi in Algeria – chiarisce subito Aleksandr Tkachenko, vice direttore del Centro studi sull’Africa settentrionale dell’Accademia russa delle Scienze, – è certamente collegata con la guerra in Mali”. Africatkachenko_new
La situazione sul campo è assai complicata. “Da più di un anno in questa macroregione (Mali, Niger, Algeria e Paesi limitrofi) si osservano iniziative di forze separatiste, chiamiamole così, contro i governi centrali. Le motivazioni di carattere socio-economico, mi riferisco all’estrema indigenza in cui vive la popolazione, fanno da detonatore alla protesta. Non dimentichiamo che l’Africa è un continente povero”.
Da chi sono composte queste forze, come le ha chiamate lei, separatiste? “Vi è stata l’unione tra membri dell’opposizione anti-governativa, esponenti regionali, unità armate e gruppi vicini ad AlQaeda. Questa realtà, creatasi adesso, è una minaccia per tutti i Paesi dell’Africa occidentale”.

 Perché quindi gli eventi algerini sono collegati con quelli del Mali? “Guardiamo alle richieste fatte dagli assalitori dei pozzi petroliferi. Primo, fermare l’intervento francese in Mali. Secondo, liberare alcune persone detenute a Guantanamo. Attenzione. Ricordiamoci la storia di Bin Laden. E cerchiamo di comprendere dove sia la frontiera tra protesta dell’opposizione ed estremismo e quando essa viene superata”.
Siamo pertanto di fronte ad un nuovo Afghanistan? “Non ora. Ma certi elementi lo fanno tornare in mente”.
Quale futuro per questa macroregione? “Le forze anti-governative potranno rafforzarsi nel lungo periodo. E’ un’area geografica difficile. Non sarà facile calmare le acque in fretta”.
Non è che gli occidentali stiano sfruttando la situazione per imporre un qualche nuovo tipo di colonialismo? “La questione è assai complessa e non si può riassumere in una battuta. Diciamo, invece, che nell’ultimo decennio le guerre civili in questa area del mondo sono di molto aumentate. Il rischio di un frazionamento del continente è palese. Pensiamo al Sud Sudan che si è separato dal Sudan. In precedenza è accaduta la stessa cosa tra Eritrea ed Etiopia. Nel Mali del Nord è stato appena proclamato dagli insorti un nuovo Stato. I governi centrali non riescono a risolvere i grandi problemi che attanagliano i loro deboli Paesi. La corruzione poi fa il resto. L’unica soluzione, in molti casi, è la separazione tra le regioni”.
Come è possibile che queste forze anti-governative siano armate fino ai denti? Queste armi provengono dalla Libia? “Tutti sanno che la Libia era un Paese ricco e ne aveva tante”.
Come mai questi gruppi sono così numerosi? “Gheddafi aveva al suo servizio tanti mercenari, originari dell’Africa nera. Adesso questi sono tornati a casa o in Paesi vicini e cercano di farsi una posizione con le armi in mano”.
Queste forze separatiste sono un pericolo per le rotte del petrolio e del gas? “Sì. Possono creare grattacapi in Algeria, tra i primi dieci produttori mondiali di materie prime, e provocare conseguenze negative internazionali”.
La Russia pare allineata su posizioni comuni all’Occidente. “Mosca cerca di fermare i conflitti con la diplomazia. All’Africa serve la stabilità”.

 Due sono i favoriti della prima tornata elettorale: l’economista 68enne Milos Zeman ed il 62enne esperto in statistica Jan Fischer.
Con loro altri sette sono i candidati in lizza. Le previsioni della vigilia danno per scontato che nessuno riuscirà ad ottenere più del 50% dei voti per essere eletto già ora presidente. Si tornerà così alle urne il 25-26 gennaio prossimo per il ballottaggio. PresidentialFlagCzechRepublic
Dopo due capi dello Stato eletti dal Parlamento, Vaclav Havel e Vaclav Klaus, la Repubblica ceca ha deciso ora di cambiare sistema elettorale per evitare le passate contrapposizioni.
Sia Zeman che Fischer, ambedue ex premier, hanno posizioni più morbide con Bruxelles a differenza dell’euroscettico conservatore presidente uscente Klaus, il cui mandato scade il prossimo 7 marzo.
Il primo è tornato alla politica dopo anni di assenza, mentre il secondo si è segnalato per la buona conduzione del semestre di presidenza ceca dell’Unione europea.
Secondo la Costituzione in vigore il capo dello Stato ha il potere di scegliere il primo ministro sulla base delle elezioni legislative e di selezionare i membri della direzione della Banca centrale. Con l’approvazione della Camera alta del Parlamento il presidente nomina i giudici della Corte Costituzionale.

 Rapporti con gli Stati Uniti, crisi siriana, questioni interne. Vladimir Putin è stato incalzato da circa mille duecento giornalisti per quattro ore e mezza, molto più a lungo di quanto preventivato. Ad un certo punto è quasi sembrato che il capo del Cremlino non volesse più chiudere la mega-intervista per mostrare ai presenti di essere tornato in forma come ai bei tempi. I problemi di salute alla schiena di quest’autunno sono apparsi quindi superati.
Il piglio del presidente russo nel rispondere alle domande, anche a quelle più scomode, è stato quello solito. Dopo aver sciorinato le cifre più che buone sullo stato dell’economia federale – Pil +3,7%, inflazione al 6,3%, tasso di disoccupazione al 5,4%, riserve valutarie pari a 527 miliardi di dollari – è iniziata l’interminabile maratona mediatica.
Vladimir Putin è d’accordo con l’iniziativa della Duma di bloccare le adozioni di bambini russi da parte di cittadini statunitensi. “Hanno cambiato – ha rimarcato il capo del Cremlino, andando all’attacco contro il Congresso Usa, – una legge anti-sovietica (ndr. la Jackson-Vinik del 1974) con una anti-russa”. Washington intende in quel modo colpire i corrotti e chi calpesta la democrazia in Russia. Una simile legge è già approdata anche all’Ue, a Strasburgo. Mosca ha subito reagito con una contro iniziativa legislativa anti-Usa. Non si è capito, però, perché siano state scelte le adozioni internazionali. Conclusione: a rimetterci saranno le migliaia di bambini abbandonati negli orfanatrofi russi.
I giornalisti presenti hanno fatto notare che le adozioni nazionali sono ben poca cosa rispetto all’enorme necessità di dare una casa alle centinaia di migliaia di sfortunati. Ma non c’è stato nulla da fare.
Parlando delle questioni aperte con la Casa bianca e sottolineando che i problemi sono sorti con la guerra in Iraq, Putin ha ricordato la spinosa questione dello Scudo anti-missilistico, che gli occidentali sono intenzionati a dislocare nel Vecchio Continente. “Che gli interessi russi vengano rispettati”, è stato il suo appello.
Mosca non è preoccupata per la sorte di Bashar al-Assad e capisce che “certamente servono cambiamenti in Siria. Quello che a noi interessa è cosa succederà dopo”. La vicenda libica ha insegnato che le soluzioni politiche vanno preferite a quelle militari, quando ci si trova di fronte al rischio della dissoluzione di uno Stato.
Putin ha negato che lo Stato da lui creato sia “autoritario”. Se fosse così l’attuale leader russo avrebbe fatto emandare nel 2008 la Costituzione, che vieta più di due mandati presidenziali. Così non è stato. “Abbiamo garantito la stabilità”, ha contro ribattuto Putin, secondo il quale “la democrazia non significa anarchia”. Per quanto riguarda l’ex oligarca Michail Khodorkovskij, ora in carcere, il capo del Cremlino ha messo in evidenza che il sistema giudiziario in Russia è indipendente da quello politico e lui non ha nulla a che vedere con quel caso. Anzi Putin si è augurato che una volta libero nel 2014 l’ex uomo più ricco del Paese goda di buona salute.
“Se Gerard ha bisogno di un permesso di soggiorno o di un passaporto russo – ha detto sorridendo Putin riferendosi all’attore francese Depardieu, che sta emigrando per evitare l’elevata imposta appena decisa da Parigi – il problema è risolto”.

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